Il silenzio americano aiuta il trionfo degli autocrati

sintesi di Laura Harth dell’articolo America’s Silence Helps Autocrats Triumphdi Larry Diamond – Foreign Policy, 6 settembre 2019

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Il silenzio americano aiuta il trionfo degli autocrati

Senza il supporto del governo statunitense, le forze per la democrazia in tutto il mondo appassiranno man mano che l’autoritarismo guadagna terreno.

Dalla fine della guerra fredda, la democrazia ha fatto molti progressi. Ma ora il destino della libertà è in bilico a livello globale. Negli ultimi mesi, con sorprendente coraggio e risolutezza, i comuni cittadini di Algeria, Sudan, Venezuela e Hong Kong – con numeri e creatività che sfuggono quasi alla comprensione – hanno dimostrato che le aspirazioni alla democrazia non sono morte con l’implosione della primavera araba nel 2013 o l’inesorabile e prepotente ascesa di una Cina neototalitaria.

Di fronte alla repressione talvolta brutale e persino mortale dello Stato, la coraggiosa mobilitazione dei cittadini comuni, in difesa dei loro diritti, dovrebbe ispirare tutti colori che vivono in democrazie liberali consolidate. Allo stesso tempo, i venti malati del populismo degli uomini forti, l’intolleranza nei confronti delle minoranze, e la disponibilità a eclissare le norme costituzionali – che hanno già sviscerato la democrazia in paesi com l’Ungheria, la Turchia e il Bangladesh – ora gettano un’ombra sul futuro della democrazia nelle Filippine, la Polonia e l’India, in particolare con il licenziamento del governo dello stato di Kashmir da parte del rieletto primo ministro indiano Narendra Modi.

L’ultradecennale recessione della libertà e della democrazia potrebbe accelerare in un’ondata tumultuosa di crolli democratici, in cui lo slancio politico globale si sposterebbe decisamente a favore delle autocrazie che stanno attivamente cercando di modellare le loro regioni e il mondo a loro immagine – dittature ciniche e ambiziose come quelli in Russia, Iran, Arabia Saudita e Cina. In alternativa, la pacifica mobilitazione del potere delle persone e l’organizzazione intelligente dei movimenti per la democrazia potrebbero dare origine a ciò che il presidente statunitense Abraham Lincoln definiva “una nuova nascita della libertà”.

Le persone fanno la propria storia, ma non la fanno nel vuoto. E il governo americano non può offrire la libertà come dono a nessun paese – sia attraverso l’utilizzo delle armi che con un flusso incessante di dollari. Ma in qualsiasi epoca, ciò che le democrazie più potenti del mondo fanno (o non riescono a fare) per difendere i diritti, sostenere i democratici, rafforzare le istituzioni, e scoraggiare la repressione può aiutare a spostare l’ago della bilancia a favore delle democrazie. E si può fare pacificamente, senza ricorrere all’uso della forza militare.

Il mondo è ora a un punto cardine nella storia, dove gli americani devono decidere di nuovo di usare la loro voce collettiva – e le risorse diplomatiche e finanziarie – per difendere la libertà o fare un passo indietro e dire, “Non è la nostra lotta; non sono affari nostri,” perseguendo invece stretti interessi nazionali, per quanto brutto possa sembrare.

Nel mondo globalizzato di oggi, modelli, tendenze e idee si propagano oltre i confini. Qualsiasi vento di cambiamento può accumularsi rapidamente e soffiare con la forza di una tempesta – e gli USA non si possono permettere di rimanere silenti. Persone di tutto il mondo formano le loro idee su ciò che è un buon (o irresistibile) modo di governare in base a quel che vedono accadere altrove: alla CNN, ad Al Jazeera o su Twitter.

Il mondo di oggi è immerso in un feroce concorso globale di idee, informazioni e norme. Nell’era digitale, quella competizione si muove alla velocità della luce e sta modellando il modo in cui le persone pensano dei loro sistemi politici e del futuro ordine mondiale. Ora specialmente – quando sorgono dubbi e minacce alla democrazia in Occidente – questa non è una competizione che le democrazie possono permettersi di perdere.

La situazione è tanto più precaria perché i regimi autoritari rappresentano sempre più una minaccia diretta alla sovranità popolare e allo stato di diritto nelle democrazie consolidate. I flussi esteri nascosti di denaro, influenza e messaggi sui social media stanno sovvertendo e corrompendo i processi e le istituzioni democratiche dagli Stati Uniti all’Unione europea. Se gli americani vogliono difendere i principi fondamentali di autogoverno, trasparenza e responsabilità in patria, non c’è altra scelta che promuoverli anche a livello globale.

Inoltre, se gli americani non si preoccupano della qualità della governance nei paesi a basso reddito, il mondo avrà sempre più stati travagliati e fallimentari. La fame e il genocidio sono la maledizione degli stati autoritari. E il colasso dello stato è l’ultimo frutto amaro della tirannia.

Quando stati come Siria, Libia e Afghanistan scendono in guerra civile; quando i paesi poveri dell’Africa non riescono a creare posti di lavoro e migliorare la vita delle persone a causa della cattiva governance; quando le società centroamericane sono tenute in ostaggio da brutali bande criminali e sovrani cleptocratici, la gente fugge.

E molto spesso fuggono negli Stati Uniti e nell’UE. IL mondo è semplicemente diventato troppo piccolo e piatto per murare gli stati marci e fingere di trovarsi su un altro pianeta. Nel lungo periodo, l’Europa e gli Stati Uniti non possono resistere alle crescenti pressioni dell’immigrazione – e il contraccolpo politico che tale immigrazione sta alimentando – a meno che non lavorino per generare un governo migliore, più stabile e più responsabile nei paesi in difficoltà.

Sono in gioco anche interessi di sicurezza più difficili. Come chiarisce la strategia di sicurezza nazionale dell’amministrazione Trump, le principali minacce alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti derivano tutte da stati autoritari – in particolare Russia e Cina, ma anche Iran, Corea del Nord e altri – e movimenti antidemocratici come lo Stato islamico.

Sostenere lo sviluppo democratico in tutto il mondo è un modo vitale per negare a questi avversari autoritari l’ascesa che cercano nella corsa geopolitica. Proprio come la Russia, Cina e Iran stanno cercando di minare le democrazie per piegare altri paesi alla loro volontà, gli Stati Uniti possono contenere le loro ambizioni di maggior potere aiutando altri paesi a costruire democrazie efficaci e resistenti.

I governi democraticamente eletti con società aperte non sosterranno la linea statunitense su ogni questione. Ma nessuno società libera vuole ipotecare il suo futuro a un altro paese. Gli interessi nazionali vitali degli Stati Uniti sarebbero meglio garantiti da un mondo pluralistico di paesi liberi, in cui potenti avversari non possono usare la corruzione e la coercizione per inghiottire risorse, alleanze, territorio e rotte marittime.

Molti sono critici di questo approccio. I detrattori affermano che la promozione della democrazia è arrogante o che non sono affari degli USA. E’ falso, ma non significa che Washington dovrebbe imporre il proprio modello di democrazie agli altri.

Nè la promozione della democrazia richiede arroganza. Come molti docenti americani e diplomatici all’estero, ho scoperto che l’apertura e l’umiltà contano molto. Quando si presentano gli Stati Uniti in un modo equilibrato, riflettendo onestamente sulle sue proprie carenze democratiche, si anticipano molti sospetti e critiche. Trasmette l’idea che siamo tutti in cammino verso un governo migliore, più libero, più responsabile, e che entrambe le parti traggano vantaggio dalla collaborazione. E, soprattutto, mostra che una vera democrazia è quella in cui anche coloro che parlano o lavorano per suo conto sono disposti e liberi a essere critici nei confronti del proprio governo.

Un’altra critica è che gli americani e gli europei non dovrebbero imporre i cosiddetti valori occidentali sulle società non occidentali. Questo tipo di relativismo culturale è una forma più profonda di arroganza, su tre livelli.

In primo luogo, suggerisce che la libertà, sebbene preziosa per le persone in Occidente, non è importante o necessaria per le persone altrove; sostiene implicitamente che le persone altrove non hanno gli stessi diritti innati degli esseri umani. Ma dalla fine della seconda guerra mondiale, numerosi trattati e dichiarazioni internazionali hanno codificato i diritti civili e politici come diritti umani universali.

Secondo, questo marchio di relativismo culturale suggerisce erroneamente che i valori democratici liberali dei diritti individuali, la responsabilità politica, e il governo limitato hanno le loro radici solo nell’Occidente illuminato, quando in realtà si possono indicare tradizioni rilevanti in molte altre culture, dalle norme confuciane per il buon governo e il diritto del popolo a ribellarsi contro il dispotismo, alle vantate tradizioni indiane di pluralismo, tolleranza e deliberazione.

E, infine, semplicemente non corrisponde con le indagini dell’opinione pubblica, che mostrano che il desiderio di un governo democratico e responsabile – radicato nello stato di diritto – è ampiamente e persino intensamente condiviso tra la culture.

C’è un’altra critica che sostiene che gli americani devono mettere l’America First, e ciò significa sostenere alleati autoritari quando è necessario, anche quando essi sono figure corrotte e sgradevoli come Abdel Fattah al-Sisi in Egitto. Nessuna strategia seria per la promozione della democrazia sostiene un focus esclusivo solo su questo. Ma anche tra gli alleati autoritari, i diplomatici stanunitensi possono – e dovrebbero – sollevare preoccupazioni sui diritti umani, sostenere i sostenitori della libertà e della responsabilità, e incoraggiare una graduale riforma politica.

La presunta vecchia linea di Franklin D. Roosevelt sull’uomo forte del Nicaragua, Anastasio Somoza, “Può essere che sia un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana”, non spiega tutti gli aspetti dell’interesse nazionale. Infatti, Somoza cadde in una rivoluzione anti-americana. E così anche lo Shah dell’Iran sostenuto degli USA.Quando Washington sostiene alla cieca questo tipo di regimi e presume semplicemente che resisteranno, molto spesso finisce male, sia per il popolo locale che per gli americani. Alcuni sostenitori dell’America First affermano che è troppo costose sostenere lo sviluppo democratico in tutto il mondo. Ma gli aiuti esteri in tutte le sue forme ammontano solo all’1 per cento el bilancio federale degli Stati Uniti e l’importo speso per promuovere democrazia, libertà e acocuntability in tutto il mondo rappresenta circa l’1% del 1% del bilancio federale.

Infine, i critici sostengono che è troppo rischioso, o che la promozione della democrazia non può fare la differenza. La storia dice il contrario.

Dal Portogallo al Sudafrica fino al Cile, l’assistenza internazionale ha aiutato a sostenere le transizioni gravose verso la democrazia in circostanze pericolose.

E’ altamente improbabile che cittadini nelle Filippine, in Tunisia o in Ucraina stiano meglio – o che gli Stati Uniti saranno più sicuri – se questi paesi tornanno all’autocrazia. Ed è difficile immaginare che la vita nelle autocrazie in via di disintegrazione, come il Venezuela, l’Algeria e il Sudan – o nel sistema in decadenza e in crisi di Hong Kong – sarebbe peggio in un vera democrazia.

Non vi è alcuna garanzia che un tentativo di stabilire la democrazia averà successo. Ma non spetta agli Stati Uniti dire alle persone che lottano per la libertà di ritirarsi – che è troppo rischioso per loro, e scomodo per gli americani. Aiutarli a difendere la loro libertà è importante per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti che per chi sono gli americani come popolo.

Questo articolo è stato adattato dal nuovo libro di Larry Diamond, “III Winds: Saving Democracy From Russian Rage, Chinese Ambition, andAmerican Complacency” (III Venti: Salvare la Democrazia dalla rabbia russa, ambizione cinese e compiacenza americana). 

Diamond è uno dei senior fellow all’Hoover Institution e al Freeman Spogli Institute for International Studies presso la Stanford University. 

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