“Il Caso Italia: questione giustizia, legalità, Stato di diritto” la relazione dell’Avv. Giuseppe Rossodivita al 9° Congresso degli iscritti italiani al Partito Radicale.
Care compagne, cari compagni,
la mozione del Congresso generale, che si è tenuto a Roma tra il 5 e il 7 luglio di quest’anno, ha stabilito che fosse compito degli organi dirigenti quello di “Elaborare un documento di analisi e proposte di riforma per ripristinare valori e regole da Stato di Diritto in Italia, in settori cruciali per la vita democratica, come quelli dell’informazione e dei sistemi elettorali, della amministrazione della giustizia e del carcere, e della lotta alla criminalità, che verrà sottoposta alla discussione del Congresso degli iscritti italiani del Partito Radicale”.
Il compito è tutt’altro che agevole, si tratta infatti di andare ad incidere esattamente su quei pilastri su cui si fonda, secondo la nostra analisi, quel regime partitocratico che, da sessant’anni, non ci stanchiamo incessantemente di denunciare.
I partiti politici, che hanno attraversato la prima, la seconda e la terza Repubblica, con alternanze che non hanno mai rappresentato una reale alternativa, hanno imbalsamato, hanno messo la camicia di forza ad un sistema il cui scopo ultimo è quello di conservare lo status quo espellendo dal gioco democratico quei cittadini, riuniti in partiti o movimenti che hanno proposte realmente e radicalmente riformatrici e perciò alternative e perciò stesso pericolose.
La fotografia che ci restituisce l’Italia di oggi, da questo punto di vista, è allo stesso tempo drammatica, ma quanto mai chiara.
Alle ultime elezioni politiche del 2018, c’è stata una astensione record di quasi il 30% del corpo elettorale, alle ultime elezioni europee il dato di astensione è arrivato a toccare la punta del 40% con oltre 20 milioni di elettori che hanno preferito non recarsi alle urne, evidentemente non riconoscendosi in alcuna delle poche e limitate opzioni in campo.
Il mondo dell’informazione, della Tv, così come della carta stampata, continua a proporre, secondo un main stream consolidato, un’offerta politica limitata sostanzialmente a 5/6 partiti. Per intanto Renzi è tornato in grande stile sugli schermi televisivi e Italia Viva viene quotata dai sondaggisti, secondo un’operazione di promozione dell’immagine, assolutamente nota agli addetti ai lavori.
Si tratta di un blocco di potere che Marco, poi sciacallato da Grillo e dai Grillini, chiamava partitocrazia – perché tale è anche quello per cui si è riconosciuti come facenti parte del sistema che mira a perpetuare se stesso, anche se da posizioni di opposizione in vista di una alternanza -.
E guardate che anche la rapida ascesa del M5S, che inizialmente, a partire dal 2013 e fino a che non sono andati al Governo è stato letteralmente sospinto dal sistema televisivo (ricorderete, solo per fare un esempio, il Vaffa DAY convocato tramite Tg e notiziari della Tv di Stato o il quarto d’ora di teleprediche senza contraddittorio di cui Grillo beneficiava ogni settimana da Santoro su Rai 3, quando Santoro faceva ¾ mln di spettatori), è stata una scommessa vinta dal blocco dei partiti tradizionali. In fondo oggi il M5S, che ha dato a credere di caratterizzarsi per essere un movimento antisistema, così attirando il voto di milioni di elettori, è diventato parte integrante del sistema: il gruppo dirigente è stato totalmente fagocitato dalle agiatezze del palazzo, ne sono rimasti ammaliati, parlamentari, ministri e sottosegretari e, ovviamente, non hanno la benché minima intenzione di uscirne. Una scommessa vinta dal sistema che è riuscito ad assorbire a rendere innocuo un movimento politico che ha raggiunto numeri importantissimi convogliando e con ciò sterilizzando, la forza del malcontento espresso inizialmente da qualche milione di persone attratte dalla quinta essenza del populismo.
Un quadro desolante, dove la grande assente è la politica come visione del futuro, come idea di un mondo e di un Paese migliore. L’orizzonte più lungo, di questi nuovi e vecchi capi e capetti, è quello di una settimana al massimo. Una navigazione a vista, attenta esclusivamente a garantire ai Capitani, di qualsiasi ciurma, di continuare ad essere loro i Capitani e di continuare a navigare.
E il paese è immobile, imbalsamato,in alcune città, come Roma, la decadenza si respira per le strade, tra il puzzo dell’immondizia e quello di plastica e gomma bruciata, delle fiamme sprigionate degli autobus dell’Azienda di trasporti comunale, un paese impoverito ed incattivito, il che consente di scatenare guerre tra poveri -come quella tra le periferie sempre più abbandonate delle città e dove sono stati confinati gli italiani indigenti e gli immigrati -per realizzare poi l’immediato incasso elettorale, un paese privo di visioni e di proposte, con oltre 20 milioni di elettori ai quali non viene consentito di avere una alternativa vera.
I pilastri su cui questo sistema si regge sono sempre gli stessi ed il primo, quello su cui si regge il tutto è la informazione Televisiva. Si, ancora nel 2019, siamo un paese dove il consenso politico si costruisce in TV, altro che la Rete. I capi dei partiti oramai sono attori, protagonisti o comparse a seconda dei casi, ma sono attori,nel senso che recitano, le leadership vengono formate a partire non dai contenuti, ma dall’appeal mediatico, non dalle idee o dalle proposte, ma dall’immagine, da come questo o quello rende davanti alle telecamere. E di solito, oramai, meno parlano, più usano slogan e meglio è. Non vi fate ingannare, non ci facciamo ingannare dall’uso dei social da parte di capi, capetti e capitani. Il post sul social, il video sui social ha semplicemente eliminato la necessità dell’intermediazione del giornalista, il video sul social ha eliminato le conferenze stampa, ma senza il rimbalzo che il video del capo o del capetto, ha regolarmente sui TG nazionali, quel video sarebbe visto da un numero infinitamente più basso di persone. L’uso dei social evita il confronto, mi faccio il video, faccio il post, dico solo ciò che mi fa comodo e sono certo che la mia rete RAI di riferimento, quella che ho occupato con miei uomini, farà il resto facendolo rimbalzare nelle ore di massimo ascolto.
Il gioco è facile perché il paese è fragile, com’è fragile qualsiasi paese che ha un livello di analfabetismo funzionale che viaggia introno al 65%, oltre 35milioni di persone che non hanno la capacità di leggere e fare proprio il contenuto di un modesto articolo di giornale, 35 milioni di persone che non sanno scrivere autonomamente una lettera di media complessità, 35 milioni di persone che non leggono neppure un libro all’anno. Un paese con tassi di abbandono scolastico elevatissimo, soprattutto al SUD, un paese che ancora ha il minor numero di laureati in Europa dopo la sola Romania – e quelli che si laureano scappano, se possono, a gambe levate per cercare di avere una propria vita, un proprio futuro, migliore di quello che il sistema Italia è in grado di offrire. Un paese dove ci sono, secondo il 10° Atlante dell’infanzia a rischio (di Save the Children), 1,2 milioni di bambini e adolescenti in condizioni di povertà assoluta, in Italia, si, senza beni indispensabili per condurre una vita accettabile. Un numero triplicato in soli 10 anni! Triplicato! 453.000 mila bambini italiani vivono solo grazie ed esclusivamente ai pacchi alimentari ed in condizioni di totale povertà educativa.
Sapete cosa significa? Un’ipoteca per i prossimi decenni, una fragilità mantenuta come tale contro la quale non vengono da anni messe in campo politiche adeguate. Cosa pensate che faranno questi bambini, i medici, gli avvocati, i magistrati? Oppure andranno ad ingrossare le fila della criminalità organizzata che gli garantisce almeno un piatto di pasta?
Un società così composta, un corpo elettorale così formato, che ancora per lo più decide come votare l’ultima settimana della campagna elettorale guardando i TG è un corpo elettorale fragile, la non conoscenza è fragilità, ed è una fragilità che non viene combattuta perché un corpo elettorale così è facile da manipolare e, dunque, è facile da governare.
Se è vero, come a tutt’oggi si dice, che la RAI, la concessionaria del servizio pubblico, è la principale azienda culturale del Paese, direi che i risultati del lavoro di questa azienda sarebbero tali da giustificarne la immediata chiusura: un fallimento totale.
Vero è, al contrario, come ben sappiamo, che la Rai non partecipa ad informare i cittadini, non per caso o per incapacità, ma perché è un’azienda che ha, da sempre, da quando è stata creata, il compito di offrire un servizio privato di propaganda a vantaggio dei partiti che fanno parte del sistema, ivi compreso l’ultimo arrivato M5S.
Partiti, segreterie, capi e capetti che appena preso un po’ di potere si comportano da proprietari ed azionisti della RAI.
E la avvenuta normalizzazione del M5S la si vede, con estrema chiarezza, proprio nell’approccio avuto, in posizione di Governo, nei confronti della RAI. Non c’è stata alcuna rottura col passato, il M5S non ha fatto della RAI un qualcosa di diverso da quello che era in precedenza, non ne ha fatto una concessionaria del servizio pubblico pluralista, l’ha semplicemente occupata, il M5S è entrato insieme agli altri partiti del sistema nella stanza dei bottoni, spartendosi in posizione di forza, uomini, stanze, redazioni, programmi, TG. Il M5S ha operato esattamente come per decenni hanno operato la DC, il PSI, il PCI. Ha partecipato al banchetto e si è spartito la torta al fine di garantirsi la possibilità, per il futuro, di continuare a partecipare alla spartizione del potere, delle poltrone di governo e di sottogoverno, del denaro dei gruppi parlamentari, oramai un vero e proprio secondo finanziamento pubblico ai partiti.
Sul punto dell’informazione noi abbiamo la nostra proposta che verrà trattata da Marco Beltrandi che va ringraziato per il lavoro che fa, ed è una proposta rivoluzionaria, perché in Italia, cacciare i partiti dalla RAI sarebbe davvero una rivoluzione in grado, da sola, di mutare il segno e cambiare le sorti del Paese nel giro di un quinquennio.
Se gli Italiani, sapessero, se gli Italiani potessero sapere quante e quali forze si muovono quotidianamente sottotraccia, forze alle quali – nonostante le belle parole scolpite in altrettante belle leggi, costantemente ed impunemente violate – non viene concesso alcun ascolto, perché il sistema dei Partiti ha il terrore della conoscenza; conoscere le proposte di forze radicalmente alternative, laiche, liberali, democratiche, potrebbe portare il sistema disegnato dal regime dei partiti ad implodere. Il sistema ha bisogno, come diceva Marco, di trovarsi oppositori affidabili, perché innocui, come il velocissimo processo di normalizzazione del M5S ha dimostrato e dimostra. Il sistema dei partiti ha invece il terrore di quelle forze politiche, come da oltre 50 anni è il solo Partito Radicale di Marco Pannella, considerate inaffidabili, non biodegradabili, non integrabili, non accondiscendenti, ostinatamente resistenti a fare da stabile stampella al centrodestra o al centrosinistra che sia.
Si, un nucleo di Radicali non biodegradabili esiste ancora e siamo qui, al Congresso del PR e siamo ancora in ascolto da Radio Radicale – che garantisce conoscenza ed ascolto a tutti ed è per questo che i 5S continuano a volerla chiudere, oggi sciacallando persino i terremotati per i quali non hanno mosso un dito dal Governo, caro Ministro Di Maio, perché non parla mai delle decine e decine di milioni di euro dei suoi gruppi parlamentari e dei suoi 21 gruppi nei consigli regionali ? che ci fate con tutti quei milioni di euro? Eh!- Noi Radicali del Partito Radicale di Marco Pannella abbiamo solo bisogno di ritrovarci e con tantissimi di conoscerci e ri conoscerci. L’iscrizione è aperta a tutti, come è noto, in questo Partito non ci sono probiviri e non ci sono espulsioni, per quanto questa fake news è stata fatta circolare ad arte dai soliti gazzettieri al servizio del sistema al quale ha fatto comodo far credere di aver integrato, inglobato, fagocitato anche i Radicali di Emma Bonino, espulsi dai Radicali di Marco Pannella. E però bisogna fare chiarezza, magari al solo fine di evitare imbarazzi e disagi, anche personali, se non politici: penso e ho sempre pensato che questo non è il posto giusto per chi vuole tentare carriere politiche, per chi vuole appagare le proprie ambizioni personali, per chi vuol far parte del sistema dei partiti, per chi vuol essere ri conosciuto da quel sistema come ‘affidabile’ e per questo punta ad essere invitato al tavolo. Non è il posto giusto per questo, ma le porte sono, sono state e saranno sempre aperte, per chiunque vorrà.
Questo è il Partito Radicale, un luogo di lotta, dove la lotta è nonviolenta, dove l’obiettivo è la libertà e le libertà di ciascun individuo, dove ciascuno è protagonista della sua battaglia, come lo è stata, fino all’ultimo giorno, fino a 94 anni, una vera e propria campionessa: Laura Arconti, instancabile, paziente, lucida fino alla fine nel volere caparbiamente garantire lunga vita al PR.
Marco amava dire che un Radicale vero, quando siede nelle postazioni istituzionali lo si riconosce immediatamente, Radicale è colui che non si lascia cambiare dalla poltrona su cui siede, un Radicale è colui che cambia la poltrona sulla quale è seduto.
E’ difficile, certo, a livello individuale e politico, ci vuole rigore e fermezza per non cedere alle lusinghe del ‘potere’: Andreotti usava dire che il potere logora chi non ce l’ha, ma io la penso come Pannella, il potere, anche quello dell’essere un semplice consigliere regionale, un semplice deputato o senatore, può cambiare nell’intimo qualsiasi persona, se non c’è il massimo del rigore e della fermezza, ed è anche per questo che Marco diceva di ‘ripudiare il potere e di ripudiare anche la fantasia se avesse minacciato di occuparlo’.
E nel nostro Paese ci sono sacche di potere impressionanti: c’è ad esempio un potere esercitato per una vita intera, con sempre maggiori garanzie e riconoscimenti, un potere esercitato in termini di sostanziale irresponsabilità, un potere statico, senza controlli intermedi, senza che ci sia la possibilità di mandare a casa chi esercita male l’immenso potere di cui dispone.
Parlo del potere di cui dispone un magistrato che svolge le funzione di Pubblico Ministero in ambito penale: un potere enorme, quello di decidere la vita e la morte sociale di un individuo e della sua intera famiglia, con il micidiale cocktail tra ipertrofia populista del diritto penale, obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, espansione terrificante, dell’area di applicazione delle misure di prevenzione, specie quelle di tipo patrimoniale, unito alla piena disponibilità dei mezzi di informazione a fare da stampelle alle inchieste per poi sovente dimenticare anche solo di dar conto degli esiti dei processi.
E’ innegabile che il sistema così com’è costruito non va, vanno individuati dei correttivi.
E’ innegabile che i riflessi, lo spirito di servizio, la stessa positiva tensione verso il riconoscimento della supremazia della legge, dopo vent’anni di esercizio quotidiano, giorno dopo giorno, dell’enorme potere di cui un magistrato dispone, con tutto quel che ne consegue in termini di riconoscimento sociale e dunque di stile di vita, porti ad essere un vecchio magistrato una persona assai diversa da quella che decenni prima vinse un concorso pubblico.
E per come nei fatti e nelle dinamiche questo potere si è mosso è evidente che un potere enorme, oggi, è nelle mani dei magistrati delle Procure. Le indagini diventano, sui giornali e in TV, le sentenze di condanna. E poi dei processi, del vero luogo in cui si accertano i fatti e le responsabilità e che durano decenni, non interessa più nulla a nessuno, così come a nessuno interessa delle vere sentenze che, appunto, arrivano a babbo morto.
Ma il problema non è questo, non è il singolo magistrato ovviamente, perché tra i singoli c’è il buono e c’è il cattivo, come dappertutto, il problema è il sistema che non conosce contrappesi e questo è dovuto ad una precisa responsabilità politica non solo dei partiti, che sono stati da sempre incapaci per vie parlamentari di fare le riforme che sarebbero necessarie, ma anche della magistratura, in quanto tale, che si è fatta ben presto corporazione tutta protesa, pancia a terra, non solo a conservare i privilegi di casta (carriere, stipendi, fuori ruolo, irresponsabilità, ecc.), ma ad accrescere il proprio potere, mirando a sostituirsi al legislatore nelle scelte di politica criminale.
Guardate che la battaglia sull’obbligatorietà dell’azione penale è questa. Il diritto penale è politica – pensate se punire o no l’aborto, se punire o no la coltivazione di cannabis, se punire o no l’aiuto al suicidio, tutto questo è politica – e questa parte della politica la magistratura la vuole conservare per se, nonostante la Costituzione non gli affidi questo compito: Si tratta delle scelte di politica criminale, si tratta della discrezionalità che c’è nei fatti circa l’obbligatorietà dell’azione penale, si tratta della cd interpretazione creativa in diritto penale, del concorso esterno e di tante altre fattispecie di ‘matrice’ giurisprudenziale.
La magistratura in Italia, per quanto stiamo parlando di 9mila persone, rappresenta un classico blocco di potere (che beninteso non è un monolite e non si comporta neppure da monolite, guardate la stessa vicenda di Mafia Capitale), che complessivamente ha enormi responsabilità politiche e storiche,per averci consegnato il Paese così com’è oggi, responsabilità a mio avviso almeno eguali a quelle della classe politica che fa parte o ha fatto parte del sistema partitocratico.
La magistratura, come tale, ha la responsabilità politica e storica di essersi coperta gli occhi negli anni ’60,’70,’80 e fino agli anni 90, davanti alle ruberie della classe politica, ma ancor di più davanti alla distorsione del gioco democratico alimentate da quelle ruberie dei partiti, ha la responsabilità di essersi coperta gli occhi per decenni davanti a situazioni come l’inquinamento ambientale a Taranto, a Cremona, e nelle tante Taranto e Cremona sparse per lo stivale, ha la responsabilità di non avere mai fatto chiarezza sulle stragi.
Ma ha ancora la enorme responsabilità storica e politica di essersi chiusa gli occhi davanti all’attentato contro i diritti civili e politici dei cittadini realizzato dall’informazione televisiva, che ha ingannato e continua ad ingannare i cittadini dando loro a credere, nonostante gli obblighi di legge incombenti sulla stessa RAI, di rappresentare la completezza dell’offerta politica del Paese, in realtà rappresentando, come fosse una fiction, un’offerta politica parziale, differente da quella realmente esistente, promuovendo la sola propaganda dei Governi di turno,o ancora promuovendo i personaggi e le forze politiche a cui spetta di rappresentare ed esaurire l’opposizione.
I partiti politici sono stati e sono ladri di denari, quelli dei finanziamenti illeciti, oltre che quello del finanziamento pubblico oggi dei gruppi parlamentari e dei gruppi regionali e sono stati e sono, con l’occupazione della RAI, ladri di verità, ladri di conoscenza, ladri di informazione. In entrambi i casi l’oggetto del furto, soldi e informazione, è tale da andare a distorcere completamente la base stessa del gioco democratico. E’ il caso Italia, è la Peste Italiana.
Risultato? 20 milioni di italiani oramai disertano stabilmente le urne, mentre i partiti politici rappresentati in Parlamento si votano leggi e sistemi elettorali tali per cui, ingannando i cittadini, danno a credere si tratti di una lotta contro la casta e per risparmiare qualche spicciolo, ma in realtà diminuiscono la rappresentanza e rendono impossibile l’entrata in Parlamento alle forze politiche non allineate, non biodegradabili, ostinatamente non affidabili per il sistema dei partiti rappresentati in Tv e perciò presenti in Parlamento.
Gli attuali capi e i capetti dei partiti, come i loro predecessori di cui rappresentano plasticamente il senso di continuità, stanno alzando i ponti levatoi del palazzo nel quale si sono rinchiusi. Stanno tentando di farlo, vedremo. Coma sapete abbiamo depositato in Cassazione il quesito referendario per abolire lo scellerato taglio dei parlamentari votato, anche con evidenti viltà, da quasi tutto il Parlamento. Vedremo se riusciremo a far conoscere agli Italiani la situazione reale, vedremo se riusciremo attraverso questa iniziativa ad aprire un dibattito, vedremo se i signori dei Talk shaw, tra una promozione e l’altra di questo o quel duello, di questo o quel capetto o capitanetto, vorranno far conoscere ai loro ignari spettatori cosa si cela dietro questo taglio, vedremo se diranno ai loro telespettatori che alcune regioni resteranno con una rappresentanza totalmente mutilata, vedremo se spiegheranno che si sta ricostituendo la società feudale, con interi enormi territori che saranno ricondotti, senza controllori, all’esclusivo dominio elettorale del valvassore di turno scelto dal capo partito e non dagli elettori.
Il problema è sempre quello dei pesi e contrappesi, di come un sistema che voglia dirsi democratico, viene ad essere plasmato e l’assenza di contrappesi, la cancellazione delle minoranze, la mancanza di controllori, produce degenerazioni.
Ho prima parlato della magistratura: dal mio punto di vista il caso Palamara è esemplificativo, è esemplificativo però di situazioni diverse da quelle che ancora una volta i media – per lo più proni ed intimiditi dal potere dei magistrati – hanno voluto evidenziare.
Nel caso Palamara, compagni, l’unica novità è rappresentata dal Trojan e dal fatto che per la prima volta nella storia giudiziaria di questo paese dei Pm, per la prima volta, hanno scelto di mettere sotto controllo, intercettandolo in termini così pervasivi, un loro collega pure PM.
Nessuno mi toglie dalla testa che il suk, tra correnti, capi correnti e politici c’è sempre stato allorquando il CSM è stato chiamato a nominare i Capi degli Uffici Giudiziari del Paese e nessuno mi toglie dalla testa che questi suk sono stati sempre molto animati allorquando le nomine hanno riguardato i capi delle Procure, che tra gli uffici giudiziari sono quelli che dispongono del vero Potere politico.
Sono ipocriti e falsi coloro che affermano il contrario, sono ipocriti e falsi coloro che solo oggi hanno fatto finta di stracciarsi le vesti per lo scandalo.
Il caso Palamara allora è esemplificativo del fatto che le lotte, le trattative, gli accordi sono quanto mai frenetici, con l’intero sistema del CSM che entra in fibrillazione perché le correnti dell’ANM entrano in fibrillazione, allorquando le nomine riguardano, appunto, gli incarichi direttivi delle Procure. Eppure i magistrati che operano nelle Procure sono una esigua minoranza nell’ambito della magistratura, e allora perché, tutta questa frenesia e tutta questa fibrillazione del sistema ? E’ semplice, le Procure, in barba all’obbligatorietà dell’azione penale, esercitano un vero e proprio potere politico ed a seconda di chi le governa, possono essere un luogo neutro o un luogo di compensazione e di pacificazione dei conflitti o ancora un luogo dal quale partono poi bombe destinate a far crollare giunte, maggioranze, governi locali, regionali e anche nazionali.
Quando la stampa ha scritto dello scandalo Palamara – ora avrete notato è calato il silenzio, chissà come mai, l’altro giorno su Dagospia c’era un piccolo corsivo di Frank Cimini, giornalista amato da Bordin, che ha frequentato per una vita il palazzo di giustizia di Milano, che scriveva ‘’TONNELLATE DI SABBIA SUL MERCATO DELLE VACCHE DEL CSM… IL MAGISTRATO PALAMARA NON È FINITO IN CARCERE PERCHÉ I SUOI COLLEGHI HANNO PAURA CHE PARLI RACCONTANDO TUTTO QUELLO CHE HA FATTO “INFANGANDO” ULTERIORMENTE LA CATEGORIA CHE SAREBBE NELLA MERDA VERA SE I GIORNALI NE PARLASSERO…”–
Ecco, quando la stampa ha scritto dello scandalo Palamara, dicevo,abbiamo imparato un detto che gira da decenni nei palazzi, tanto nei palazzi della politica quanto nei palazzi di giustizia, un detto che dice tutto e che non necessita di spiegazioni, ma che davvero spiega tutto il caso Italia, spiega come il potere leghi uomini e istituzioni che di giorno si fronteggiano, in favore di telecamere e taccuini of course, magari dagli scranni delle istituzioni che impersonificano, ma che poi di notte, si ritrovano allo stesso tavolo del ristorante o in qualche saletta di qualche albergo.
Qual è il detto: la Procura di Roma vale almeno quanto un Ministero. E altrettanto valgono le Procure di Milano e quelle di Perugia e Brescia che hanno competenza per i reati, omissivi e commissivi, che riguardano i magistrati di Roma e Milano
Ora se non vi fosse la degenerazione del Caso Italia, questo detto non avrebbe alcun motivo di esistere. E perché mai la Procura di Roma dovrebbe valere quanto un Ministero? In che termini? Di governo del denaro e delle risorse economiche? Certo che no! L’equivalenza è in termini di potere politico.
Il problema, però, è che il sistema disegnato dalla Costituzione e dalle leggi ordinamentali non ha previsto questo, anzi!
Il sistema vuole l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, vuole il primato delle norme, vuole che le Procure, proprio per garantire l’eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge penale, esercitino obbligatoriamente l’azione penale, senza discrezionalità dietro la quale si annida tutto questo enorme potere privo di qualsiasi contrappeso.
Ecco che allora entriamo nel fuoco di quelle che sono state storicamente, e che sono quanto mai attuali, le nostre proposte di riforma, anzitutto ordinamentali, per riportare il servizio giustizia a svolgere la funzione che gli è propria, per riportare la giustizia ad essere non un luogo di scontro politico, ma davvero al servizio dei cittadini.
Fuori i magistrati dai ministeri e dalle altre istituzioni. Si tratta di ruoli chiave – capi di gabinetto, capi degli uffici legislativi – che vengono assunti da una parte consistente del potere giudiziario, messo temporaneamente fuori ruolo, nell’ambito del potere esecutivo, del potere legislativo, delle regioni, dei comuni.
L’autonomia e indipendenza della magistratura, che noi vogliamo difendere, o è, o non è, non può essere pretesa in termini unidirezionali. A quali rapporti danno vita queste commistioni tra poteri? A quali norme, a quali leggi, a quali e quante mancate riforme?
E allo stesso modo bisogna dire basta coi magistrati che tornano, con zero autorevolezza, a fare i magistrati dopo aver fatto per anni e anni i parlamentari.
Ancora: separazione delle carriere e riforma del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Abbiamo dato un aiuto direi determinante alla Unione Camere Penali nella raccolta delle 60.000 firme per presentare la loro proposta di legge costituzionale che rimodula anche l’obbligatorietà dell’azione penale. Non era affatto scontato, basta che vi andate a riascoltare, ovviamente su RR, i dibattiti di 10/15 anni fa e scoprirete che l’UCPI ha rivisto le proprie posizioni sull’obbligatorietà dell’azione penale. E’ un risultato sul piano politico perché è un risultato che abbiamo raggiunto sul piano culturale. Anche per gli avvocati penalisti, fino a 10/15 anni fa, l’art. 112 della Costituzione era un totem intoccabile, come è a tutt’oggi per la magistratura.
Ancora: riforma del sistema elettorale CSM, ma con l’unico sistema in grado di azzerare le correnti, parlo naturalmente del sistema uninominale e maggioritario.
Sono tutte proposte di legge pronte, sulle quali abbiamo tentato di raccogliere lo scorso anno, senza riuscirci, le firme necessarie per depositarle in parlamento.
Ma ancora sulla responsabilità civile dei magistrati e la finta riforma operata dal Governo Renzi, semplicemente perché costretto dalla Corte di Giustizia Europea. Una finta riforma, che non ha portato affatto al riconoscimento di una reale responsabilità civile dei magistrati e per la quale, proprio per questo, il compagno Bruno Lago ha presentato una denuncia davanti alla Commissione Europea. Denuncia frettolosamente rigettata dalla commissione,. Ma non ci fermiamo, con Bruno stiamo preparando un ricorso all’ombusdman europeo e percorreremo anche questa strada.
Occorre rimettere al centro della giustizia un’idea liberale, che non può conciliarsi con la struttura delle misure di prevenzione che hanno occupato sempre maggiore spazio fino a diventare centrali nel sistema. Le misure di prevenzione patrimoniali, capaci di annientare intere famiglie, lo dobbiamo dire con estrema chiarezza: sono pene inflitte senza processo, sono pene inflitte sulla base di sospetti, sono pene inflitte senza reati, sono misure da stato di Polizia, che nulla hanno a che vedere con lo Stato di Diritto. C’è una sospensione dei diritti di garanzia e di difesa nei procedimenti applicativi delle misure di prevenzione. Le usavano, anzi le hanno inventate i Piemontesi contro i briganti, contro il brigantaggio nel sud Italia, laddove i briganti erano coloro che dai boschi e dalle macchie respingevano l’esercito Piemontese, poi le ha usate il Regime Fascista contro la dissidenza politica, oggi le misure di prevenzione vengono usate in nome prima della lotta alla mafia, poi della lotta alla corruzione, poi della lotta all’evasione fiscale. A differenza del regime fascista il nome delle lotte per cui sono diventate centrali nel sistema è, come dire, un nome buono, una scelta apparentemente potabile, chi non vuole lottare contro la mafia, la corruzione o l’evasione fiscale? Il problema è quando poi queste lotte vengono condotte con sistemi illiberali in nome dell’efficentismo, di cui nessuno risponde per i morti e feriti che rimangono sul campo. Il problema è che quando poi ci si ubriaca di potere ed irresponsabilità i sistemi degenerano.
Non abbiamo una statistica delle famiglie ingiustamente detronizzate per l’applicazione ingiusta di misure di prevenzione patrimoniale, qualcuna si è avvicinata a noi durante la campagna dello scorso anno, ma saranno centinaia e centinaia. Sappiamo invece quante sono le vittime di errori giudiziari, vittime nonostante un sistema, quello del processo penale, che almeno in teoria dovrebbe garantire un margine di errore più contenuto, eppure sono in media 1000 ogni anno le persone arrestate ingiustamente in Italia, quasi tre al giorno, oltre 26 mila negli ultimi 25 anni. Lo Stato ha già speso in risarcimenti più di 750 milioni di euro e il conto prosegue al ritmo di 81 mila euro al giorno.
Anche per questo, in coincidenza con il giorno dell’arresto di Enzo Tortora, il 17 giugno del 1983, abbiamo proposto, chiedendo a tutti i capigruppo dei gruppi parlamentari di farla propria, di istituire la giornata nazionale a memoria delle vittime di errori giudiziari e delle ingiuste detenzioni.
Numeri impressionanti se pensiamo che dietro ogni numero c’è una vita, una persona con i suoi progetti, con i suoi sogni e le sue speranze, e dietro ogni persona ingiustamente detenuta ce ne sono altre, le persone care, i famigliari.
Nulla a confronto di altri numeri. Perché nonostante sia in calo il numero dei delitti secondo un trend decennale – un paio di settimane fa è stato pubblicato un bel dossier da Il Sole 24 ore – così come sono in calo i delitti che creano maggior allarme sociale – omicidi, rapine, ecc. – per via dell’obbligatorietà dell’azione penale, almeno in partenza, ci sono ogni giorno in Italia 6500 denunce. La maggior parte di queste finisce in niente, magari dopo che anni un fascicolo di questi è rimasto sulla scrivania del PM ad accumulare polvere. Il Ministero però ci dà i numeri dei processi pendenti, 1,5mln circa, dice il Ministero. Sono i numeri dei processi, in primo grado, in appello e in cassazione. Da gennaio si potrà rimanere intrappolati a vita in questi processi, sine die, per tutta la vita terrena si potrà rimanere imputati, per legge. Ma come si è arrivati a questa barbarie?
Perché un PM ha fatto carriera, prima ha iniziato a fare processi a personaggi famosi della politica, poi diventato perciò famoso anche lui, a differenza di altri suoi colleghi che hanno direttamente fondato ciascuno il proprio partito politico, ha lavorato dall’interno della magistratura. Ha fatto proseliti, tra i magistrati e tra la gente comune. Questo magistrato, negli ultimi 10 anni è stato in TV e sui giornali più di quanto lo fosse Pannella ed è diventato un punto di riferimento di un partito populista di Governo, Poi si è fatto la sua corrente nell’ANM e ora siede insieme ad altri della sua corrente nel CSM. Questo magistrato, parlando, parlando, ha convinto le moltitudini che in Italia non ci sono imputati innocenti, ma solo imputati che riescono a farla franca perché non si sono trovate le prove o ancora, perché essendo ricchi si possono permettere avvocati che la tirano fino alla prescrizione.
E ha imposto alla politica la sua legge: quella che recita che l’imputato, una volta che è tale, deve rimanerlo a vita.
A voi pare normale?
Ovvio che le premesse sono tutte falsità, smascherate per l’ennesima volta da altri numeri, come quelli prodotti dalla meritoria ricerca UCPI – Eurispes sulle reali cause della prescrizione. Lo avevamo detto, da soli, a RR qualche anno fa, diversi anni fa, non appena lo scoprimmo, ma non siamo riusciti a farlo conoscere, non siamo riusciti a farlo sapere, non siamo riusciti a far riflettere su un dato fondamentale: il 70% delle prescrizioni circa matura in fase di indagini preliminari. Decidono loro, solo loro, cosa far prescrivere e cosa no. Questa è la verità, com’è la verità che il restante 30% si prescrive per inefficienza strutturale di un sistema processuale sempre più simile – e le garanzie difensive non c’entrano nulla – ad una macchina burocratica fine a se stessa.
Ma i numeri, anche quelli nascosti dal Ministero, dicono tanto. Il Ministero dice che nel penale l’arretrato è in diminuzione e che c’è un arretrato di 1,5 mln di processi penali. Bene. Peccato che non ci sia mezzo numero sui procedimenti penali, cioè sui fascicoli in fase di indagine. Per il Ministero la mia cliente che è in psicoterapia da 5 anni, da quando non da innocente, ma da estranea, ha ricevuto un avviso di garanzia per associazione a delinquere, da quando la sua foto è stata ignobilmente pubblicata sul giornaletto locale come se fosse una delinquente, per il Ministero, oltre che per il PM, quella mia cliente, così come altri 3 milioni di persone, semplicemente non esistono. Milioni di persone risucchiate nelle sabbie mobili di indagini che hanno una durata codicistica, ma che poi formalmente non si concludono, col PM che rimane inerte. Milioni di persone che possono ammalarsi per questa inerzia di cui nessuno è responsabile.
Vengono allora occultati i dati dei procedimenti in fase di indagine, il vero buco nero della giustizia penale italiana, quello dove si perdono il 70% dei procedimenti, in una fase dove l’avvocato non tocca praticamente palla.
Il Ministro Bonafede dice ancora oggi che ha pronta una epocale riforma del processo penale – che porterà il processo a non durare più di 4 anni – da approvare entro dicembre e che però nessuno ad oggi ha visto. Ecco Ministro, se i suoi piani andranno in porto a breve vedremo una riforma epocale della giustizia penale, in attesa di capirne i contenuti ci accontentiamo di sapere che sarà epocale, proprio per questo lei dice che la cancellazione della prescrizione che entrerà in vigore il 01.01.2020 non si tocca. Bene, ma che ci facciamo a questo punto con i milioni di procedimenti pendenti in fase di indagini preliminari oltre al milione e mezzo pendente tra primo grado e cassazione? Aspettiamo che vadano in prescrizione con le vecchie norme e nel frattempo accumuliamo altri milioni di procedimenti e processi? E come mai si potrà, in queste condizioni, arrivare ad una sentenza definitiva in 4 anni? Ministro siamo seri, finiamola per favore di prendere in giro la gente che nulla sa di processo penale e si beve le sue parole sparate sui titoli dei giornali e dei telegiornali. Ministro se ci sarà una riforma epocale della giustizia che porterà i processi a durare 4 anni, se davvero si arriverà a cancellare dal nostro ordinamento un istituto di civiltà come è la prescrizione – il principio è quello per cui decorso un notevole lasso di tempo lo Stato perde il diritto di processare un imputato, sia perché non c’è neanche più il ricordo di un allarme sociale provocato dal reato, sia perché non si può, in uno Stato liberale, essere sottoposti a processo per la durata di tutta la vita – se tutto questo avverrà sig Ministro l’unico modo che ha per far riprendere a funzionare la macchina della giustizia penale è quello di prevedere un’amnistia che faccia giustizia di tutti quei fascicoli che tanto non si trasformeranno mai in processi, ma che determinano un incredibile spreco di risorse economiche, umane e logistiche. Forse, solo così, si potrà ripartire da quasi zero, mantenendo fuori dall’amnistia i reati seri, quelli veri, quelli che preoccupano la gente.
Delle carceri, l’appendice illegale del processo penale, sono certo che ne parlerà Rita, da parte mia, visti i numeri che rapidamente com’era prevedibile sono stati raggiunti dopo la sentenza Torreggiani del 2013, visto che nuovamente siamo in una situazione pre Torreggiani, l’unico strumento capace di riportare il sistema alla legalità costituzionale e convenzionale è quello dell’indulto.
Si sig. Ministro, amnsitia e indulto, lo so, lo sappiamo che non portano voti, ma è l’unico modo per far rientrare nella legalità uno Stato fuorilegge, uno Stato che agisce al di fuori della sua stessa legge fondamentale, la Costituzione. La costituzione e quei trattati internazionali, come la Convenzione EDU, che si collocano appena un gradino al di sotto della Costituzione.
Lo so, lo sappiamo che lei non avrà mai il coraggio di accettare questa sfida, lei e i suoi riferimenti culturali, si fa per dire, avete basato il vostro successo elettorale sul populismo, di cui il populismo penale è una parte fondamentale.
Uno dei suoi punti di riferimento culturali, il magistrato Di Matteo – oggi membro del CSM eletto nella corrente di un altro suo punto di riferimento, il dott. Davigo, capo incontrastato di quella nuova corrente che ha guadagnato poltrone e potere dopo lo scandalo Palamara – ecco il Dott. Di Matteo, magistrato della Repubblica Italiana che dopo la sentenza della Corte Costituzionale, del 22 ottobre scorso, sull’ergastolo ostativo – bravi Sergio, brava Elisabetta, brava Rita, bravo il PR – si è rivolto ai giornali ma parlando a lei per dire che sono urgenti iniziative legislative volte a neutralizzare la sentenza della Corte Costituzionale.
E’ un’affermazione di una straordinaria gravità! Ma fa parte del clima culturale che c’è in questo momento, un clima per cui magistrati ed ex magistrati di un certo orientamento non si vergognano nel dire che l’ergastolo ostativo serve per far parlare i condannati, serve per finalità investigative, cioè, in poche parole, serve per torturare e far collaborare i condannati per mafia. Insomma, non ci si vergogna di teorizzare uno Stato che tortura al pari della mafia. E si fa del vero e proprio terrorismo psicologico, come quando si lanciano fake news, a reti e testate unificate, come fatto con la sentenza della Cedu sul caso Viola (titoli: ora 1200 boss usciranno dalle galere! Ma come si fa, senza un briciolo di onestà intellettuale!).
Lunedi scorso ero a Brindisi con Maria Antonietta Coscioni e il Prof. Flick, per un convegno sul fine vita e il professore, parlando di giustizia durante il viaggio, ha utilizzato un espressione che nella sua sintesi lapidaria mi ha colpito poiché riesce a concentrare in poche parole lo stravolgimento in atto del sistema penale, secondo un modello tipico degli Stati autoritari contro i modelli tipici degli Stati liberali: Il processo penale di cognizione doveva essere un processo per accertare il fatto, ed ora è diventato, un processo a tipi di persone, beninteso a seconda delle accuse mosse (il corruttore, il mafioso, l’evasore, lo stalker); il processo d’esecuzione, che doveva vedere al centro la persona del condannato, con i suoi percorsi post reato è invece diventato impermeabile alla persona divenendo un processo al fatto, perché è questa la sostanza del 4bis dell’ordinamento penitenziario. Se sei stato condannato per determinati fatti il tuo percorso come persona non interessa allo Stato, è il fatto per il quale sei stato condannato a caratterizzare il percorso della tua pena.
Ma nel rutilante mondo della giustizia, se il versante penale è messo come abbiamo visto ed è quello più sotto i riflettori perché è capace, per i beni giuridici in gioco, di infliggere le ferite più profonde alle libertà individuali e perché è attraverso il diritto penale che si realizza l’invasione di campo del potere giudiziario, nel rutilante mondo della giustizia c’è un altro settore, quello del civile, che per l’economia del paese è ancora più importante.
E’ questo settore che, per le sue croniche inefficienze e contraddizioni, costa almeno un punto di PIL all’anno: la differenza per un Paese tra l’essere in recessione o in stagnazione o non esserlo. Mica quattro spicci.
3,5 milioni sono i procedimenti pendenti nel civile, un arretrato monstre che i giudici italiani, 9000 in tutto tra coloro che svolgono funzioni nel penale, nel civile e i fuori ruolo, non potranno mai seriamente smaltire in tempi ragionevoli.
Che si fa? Sul punto? Questa è esattamente quella situazione che porta gli investitori stranieri a non venire in Italia o ad andarsene dall’Italia.
Nelle Considerazioni finali alla Relazione annuale del 2011, l’allora governatore della Banca d’Italia Mario Draghi sosteneva: “Va affrontato alla radice il problema di efficienza della giustizia civile: la durata stimata dei processi ordinari in primo grado supera i 1.000 giorni e colloca l’Italia al 157esimo posto su 183 paesi nelle graduatorie stilate dalla Banca Mondiale”; e continuava: “nostre stime indicano che la perdita annua di prodotto attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile potrebbe giungere a un punto percentuale”, pari oggi a circa 18 miliardi.
Dal 2011 la situazione non è cambiata di molto. Nel 2019, gli esperti della Banca Mondiale stimano che in Italia occorrono ancora 1.120 giorni per recuperare un credito commerciale collocando il nostro paese al 111esimo posto su 190 (il miglioramento nella classifica generale rispetto al 2011 è dovuto principalmente a un cambiamento dei criteri di calcolo). Mentre la Spagna registra 510 giorni e la Germania 499. Con diversi criteri di calcolo, gli esperti della Commissione europea per l’efficienza della giustizia (Cepej) del Consiglio d’Europa calcolano in 514 giorni la durata di un processo civile di primo grado in Italia contro i 282 giorni in Spagna e i 196 giorni in Germania. Con un po’ di approssimazione, i nostri processi durano, di media, circa il doppio rispetto a paesi simili al nostro.
Tutti gli ultimi governi hanno commesso l’errore di non considerare la gravissima inefficienza della giustizia civile come un’emergenza nazionale che ha forti ripercussioni negative sull’economia.
Banche e investitori sono restii a prestare denaro a imprese che non sono tutelate da un sistema giudiziario efficiente. Una ricerca scientifica effettuata dal Research Center Safe della Goethe University, a cura di un economista, Vincenzo Perone, stima che una riduzione di solo il 10 per cento della durata dei processi civili in Italia potrebbe spingere le imprese ad aumentare la forza lavoro dal 2,9 al 3,6 per cento e stima ancora che oltre un quarto del gap della disoccupazione tra Nord e Sud deriva dall’inefficienza della giustizia civile nelle due aree del paese.
Si tratta di numeri che nascondono problemi veri, reali, concreti, per le grandi e medie aziende, conseguentemente per i lavoratori dipendenti e le loro famiglie, ma anche per i piccoli imprenditori, per gli stessi professionisti che a fronte di servizi erogati, di merce venduta, non riescono a riscuotere i crediti perché, oramai, in Italia, al cattivo pagatore, all’insolvente conviene dire ‘fammi causa’, piuttosto che trovare una soluzione. E nel frattempo si chiude o si fallisce.
E fare causa costa, costa sempre di più, in termini di gabelle da pagare allo Stato. La modestissima riduzione dei numeri dei contenziosi civili se da un lato può per un minimo essere attribuito all’implementazione di procedure di mediazione, per altro verso è dovuta al fatto che oggi solo coloro che se lo possono permettere per ragioni di censo, e sempre dietro attenta comparazione tra costi e benefici, hanno il privilegio di poter ricorrere ad un Tribunale per far valere loro diritti negati.
E più in generale, allo stato attuale, fare una causa civile per recuperare una somma uguale o inferiore a 10.000,00 euro non è conveniente, in termini di comparazione tra costi e benefici.
Cosa accade allora? Molti semplicemente ci rinunciano e perdono ricchezza, in alcuna zone d’Italia, invece, è la criminalità organizzata che si propone come entità capace, a costi bassi e con tempi certi e ragionevoli, di risolvere i conflitti tra privati al posto dello Stato che non ne è capace. Ecco, questo è un esempio plastico di come le mafie sottraggono territori e consenso allo Stato. Questo è un esempio plastico di ciò che accade quando lo Stato rinuncia esso stesso ad essere uno Stato di Diritto.
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