In Iran scattano le proteste. Poi, si blocca Internet. Un nuovo modello globale di repressione digitale.

In quella che sempre di più è una guerra informativa tra regimi dittatoriali e quelli democratici dove la conoscenza può fare la differenza, i blocchi ad Internet, come quello osservato questa settimana in Iran, sono una strategia sempre più frequente in tutto il mondo nei tentativi delle autorità di reprimere la capacità dei manifestanti di organizzarsi all’interno del paese e di ottenere sostegno nella comunità internazionale, come riporta il Washington Post in questo articolo del 21 novembre 2019:

In Iran scattano le proteste. Poi, si blocca Internet. Un nuovo modello globale di repressione digitale.

Dopo che il governo iraniano ha annunciato il suo piano per ridurre i sussidi per il carburante venerdì scorso, sono scoppiate proteste in dozzine di luoghi in tutta la nazione. Quasi immediatamente, foto e video sono stati condivisi sui social media, mostrando manifestanti che sfidavano le autorità e bloccavano le strade. Poco dopo, tuttavia, il flusso di informazioni si è gradualmente ridotto a pressoché zero. Prima è toccato alle reti mobili che hanno smesso di funzionare in alcune parti del paese. Poi, improvvisamente, i legami digitali dell’Iran con il mondo esterno sono stati del tutto interrotti.

Mentre le proteste continuavano, le autorità iraniane hanno fatto ricorso a una mossa che è sempre più comune tra i regimi che cercano di reprimere le proteste: bloccano l’accesso a Internet. Quest’anno il sito web dell’ONG NetBlocks, che monitora l’accesso a Internet in tutto il mondo, ha osservato simili blocchi parziali o totali e interruzioni dei social media in Egitto, Etiopia, Iraq, Kashmir, Mauritania, Russia, Sri Lanka, Sudan, Venezuela e altri paesi ancora.

Per gran parte della settimana, la connettività all’Internet in Iran si è ridotta al 5 percento dei livelli normali, con la capacità rimanente per la maggior parte nelle mani dei server del governo o della stampa allineata con il regime. Più di 100 ore dopo l’inizio del blocco, l’accesso a Internet rimane ancora largamente bloccato, anche se giovedì c’è stato un leggero aumento della connettività.

Giovedì Fars, l’agenzia di stampa semi-ufficiale iraniana, ha citato una fonte dicendo che Internet era stato “gradualmente ripristinato” in alcune aree.

“Sembra che l’obiettivo sia quello di bloccare la capacità degli individui di mettersi in contatto tra di loro, di contattare le loro famiglie e soprattutto di prevenire che si possa raccontare al mondo ciò che sta accadendo”, ha detto il direttore di NetBlocks Alp Toker.

L’effetto del blocco ha anche rischiato di aggravare la crisi economica dell’Iran, la quale aveva innescato le proteste in primo luogo.

Raggiunto al telefono giovedì, l’amministratore delegato di una start-up con sede a Teheran – parlando a condizione di anonimato a causa della paura delle rappresaglie del regime – ha detto a Washington Post che il blocco stava avendo un grave impatto, soprattutto su “start-up e piccole imprese”.

Anche se aziende come la sua “devono continuare a pagare stipendi, affitti, tasse e altre spese quotidiane”, il blocco ha significato che “la maggior parte delle start-up e delle attività online iraniane ha smesso di fornire servizi alle persone”, ha detto. Chiunque abbia deciso di sospendere l’accesso, “non aveva o ha poca idea dell’impatto che questa decisione avrà sulle diverse attività imprenditoriali”.

Ma almeno a livello tecnico, la mossa sembrava essere stata ampiamente pianificata. Le dimensioni, ha detto Toker, sono sorprendenti. Invece di attivare un “kill switch”, le autorità iraniane sembrano aver tagliato una per una le reti separate in uno sforzo “scrupoloso”.

Netblocks e altri gruppi utilizzano una serie di metodi per tenere traccia delle interruzioni di Internet, inclusi database di dispositivi connessi a Internet in tutto il mondo e la misurazione dello spazio IP di un paese. Se lo spazio IP si restringe o un gran numero di dispositivi passa offline contemporaneamente e nella stessa area, esiste un’alta probabilità di arresto intenzionale o interruzione accidentale.

In molti casi, le interruzioni di Internet sono limitate in scala. Nelle proteste in Venezuela di questo mese, ad esempio, il provider Internet statale del paese ha frenato l’accesso a determinate piattaforme durante un discorso programmato dal leader dell’opposizione Juan Guaidó. Dopo il suo discorso, l’accessibilità è tornata alla normalità.

Nel frattempo, le proteste in Ecuador in ottobre sono state accompagnate da sporadiche interruzioni di Internet mobile.

In confronto, il prolungato arresto in Iran è tra i casi più estesi di repressioni governativi sulla capacità dei manifestanti di organizzarsi online e comunicare con il mondo esterno. Presenta una somiglianza con una repressione in Kashmir all’inizio di quest’anno, quando l’India ha sospeso l’accesso in alcune parti della regione contesa, in contemporanea alla sua decisione di revocare lo status speciale della regione.

Ma la popolazione del Kashmir è solo una piccola parte di quella iraniana, e non è chiaro per quanto tempo l’Iran – con una popolazione di 81 milioni – potrà restare senza Internet.

Sebbene la maggior parte degli iraniani non sia stata in grado di comunicare con il mondo esterno questa settimana, alcuni potrebbero ancora essere in grado di accedere ai siti domestici attraverso una rete interna iraniana che è tagliata fuori dall’Internet globale.

Per capire cosa sta accadendo in Iran in questo momento, i ricercatori stanno anche esaminando potenziali lezioni che i recenti arresti di Internet in Iraq potrebbero insegnarci. Toker ha affermato che lui e il suo team hanno identificato alcuni parallelismi.

“Si tratta di due reti tecnicamente completamente diversi,” ha detto Toker. “Ma i meccanismi, il contesto politico e la strategia di chiusura di una nazione che protesta contro i suoi leader… sono ragionevoli motivi di preoccupazione.”L’influenza dell’Iran sulla politica irachena è in aumento negli ultimi anni e questo è stato un punto chiave di critica da parte dei manifestanti.

In passato vari governi hanno giustificato i blocchi di Internet con la necessità di mantenere l’ordine pubblico.

Ma secondo Netblocks, i blocchi erano in realtà strettamente allineati con i picchi di vittime mortali, il che suggerisce che le autorità hanno deliberatamente limitato l’accesso durante le operazioni con potenziali incidenti di massa, ha affermato Toker. “E’ diventato davvero evidente che questo è diventato un modo per ingannare il mondo.”

Anche rispetto alla situazione attuale in Iran, il forte legame tra l’uso mortale della forza e le chiusure di Internet ha sollevato preoccupazioni per un aumento del bilancio delle vittime.

Martedì, Amnesty International ha dichiarato che le forze di sicurezza iraniane potrebbero aver ucciso almeno 106 manifestanti. Finora il governo iraniano ha ufficialmente riconosciuto solo cinque morti.

 

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