All’ONU, la Cina usa minacce e lusinghe per promuovere la sua visione del mondo
Alcuni paesi stanno reagendo
Gady Epstein per The Economist, 7 Dicembre 2019 – Nonostante il suo potere di veto nelle Nazioni Unite, la Cina è stata a lungo riluttante ad agire da protagonista. Sono passati 20 anni dall’ultima volta in cui ha esercitato quel diritto da sola. Ma nei retroscena della Nazioni Unite, i diplomatici del paese stanno dimostrando una maggiore volontà di flettere i muscoli e le loro controparti occidentali stanno cominciando a reagire. E’ dalla guerra fredda che l’organizzazione non è un tale campo di battaglia per visioni contrastanti dell’ordine internazionale.
Un confronto ad ottobre sull’internamento di massa degli Uighuri in Cina suggerisce quanto la lotta sia diventata intensa. Ha visto la Gran Bretagna assumere un ruolo di primo piano inusuale nel condannare il record cinese sui diritti umani. Il rappresentante britannico presso le Nazioni Unite, Karen Pierce, ha rilasciato una dichiarazione, firmata da altri 22 paesi tra cui gli Stati Uniti, chiedendo un accesso illimitato delle Nazioni Unite ai campi di prigionia nella regione dello Xinjiang, nella parte occidentale della Cina. Ne è conseguita una rissa diplomatica. I diplomatici cinesi hanno convinto dozzine di paesi autoritari, compresi quelli di maggioranza musulmana in Medio Oriente, a firmare una contro-dichiarazione che elogia le azioni della Cina nello Xinjiang come uno sforzo illuminato per combattere il terrorismo e sradicare l’estremismo religioso.
Vi furono anche minacce e rappresaglie. Si dice che i diplomatici cinesi abbiano detto alle controparti austriache che se il loro paese firmasse la dichiarazione della Gran Bretagna, il governo austriaco non otterrebbe la terra desiderata per una nuova ambasciata a Pechino. Gli austriaci firmarono comunque. Funzionari cinesi hanno annullato un evento bilaterale a Pechino con l’Albania, un altro dei firmatari.
“Molti paesi hanno subito molte pressioni oggi,” ha twittato Jonathan Allen, Vice Ambasciatore britannico presso le Nazioni Unite, nel giorno della dichiarazione del suo paese. “Ma dobbiamo difendere i nostri valori e i diritti umani.”
Gli sforzi della Cina includono una vasta gamma di attività delle Nazioni Unite, dai diritti umani alle questioni relative allo sviluppo economico. Sembrano avere due obiettivi principali. Uno è quello di creare uno spazio sicuro per il Partito comunista cinese assicurandosi che altri paesi non critichino il suo governo. Il paese è da tempo allergico“interferenze”. I suoi funzionari stanno diventando più severi nelle loro risposte. L’altro obiettivo della Cina è quello di inserire nei documenti ONU un linguaggio che riecheggi quello del leader del paese, Xi Jinping. La Cina sta cercando di “trasformare le politiche cinesi in politiche ONU,” afferma un diplomatico del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
La Cina è consapevole che l’avversione del Presidente Donald Trump nei confronti di istituzioni multilaterali come le Nazioni Unite gli ha consentito più spazio di manovra al loro interno. Da quando Xi Jinping è entrato in carica nel 2012, il paese ha drasticamente aumentato le sue spese all’ONU. Ora è il secondo maggiore contributore, dopo gli Stati Uniti, sia al bilancio generale che a quello di mantenimento della pace. Ha anche ottenuto ruoli di spicco per i suoi diplomatici in diversi organismi delle Nazioni Unite, tra cui l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) con sede a Roma (battendo un candidato sostenuto dall’America, a grande sorpresa di molte persone). Il prossimo anno il Paese entrerà a far parte del Collegio dei Revisori di tre membri, che tiene d’occhio i conti dell’ONU.
Gli incarichi di spicco assunti da diplomatici cinesi sono per lo più noiosi in istituzioni di cui interessa poco a molti paesi. Ma ogni incarico dà alla Cina il controllo di minuscole leve del potere burocratico e la possibilità di dispensare favori.“Ognuno di questi posti esercita influenza su qualcuno da qualche parte,” dice un diplomatico europeo. Quando si deve votare su questioni che la Cina considera importanti, i suoi diplomatici usano spesso un approccio transazionale schietto, offrendo finanziamenti per progetti o minacciando di chiudere il rubinetto. Questo aumenta l’influenza cinese, se non addirittura affetto nei suoi confronti, dicono altri diplomatici.
L’influenza del Presidente Xi è evidente. Gran parte del linguaggio che i funzionari cinesi cercano di inserire nei documenti sono i suoi slogan, come la “cooperazione vantaggiosa per tutti” e “una comunità con un futuro condiviso per l’umanità” (e tenendo le mani lontane dalla Cina come messaggio sottostante). Per tre anni consecutivi, i diplomatici cinesi sono riusciti a inserire riferimenti favorevoli alla Belt and Road Initiative (BRI) del Presidente Xi, uno schema globale “win-win” per la costruzione di infrastrutture, nelle risoluzioni sull’Afghanistan. Hanno convinto alti funzionari delle Nazioni Unite, tra cui il Segretario Generale António Guterres, a lodare il BRI nei discorsi come modello per lo sviluppo globale. Nel 2018, la Cina ha convinto il Consiglio ONU per i Diritti Umani a Ginevra (da cui gli Stati Uniti si sono ritirati più tardi nello stesso anno) ad approvare il suo approccio preferito di “promuovere una cooperazione reciprocamente vantaggiosa” in questo campo, vale a dire astenendosi dalla critiche nei confronti di un altro paese.
Ma è in ballo molto di più che il linguaggio. Nel 2017, la Cina ha cercato con successo di tagliare i finanziamenti per un progetto destinato a garantire che tutte le agenzie e i programmi delle Nazioni Unite promuovano i diritti umani. Nello stesso anno, Wu Hongbo, un diplomatico cinese che era allora responsabile del Dipartimento per gli Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite (ECOSOC), espulse Dolkun Isa, un attivista Uiguro, da un forum delle Nazioni Unite in cui Isa era un delegato invitato, in rappresentanza di una ONG tedesca (alla fine Isa è potuto entrare grazie alle proteste dei diplomatici americani e tedeschi). In seguito il Signor Wu, il cui incarico gli imponeva di essere imparziale, si è vantato delle sue azioni sulla televisione di stato cinese. “Dobbiamo difendere con forza gli interessi della patria,” ha affermato.
L’opposizione all’approccio più assertivo della Cina potrebbe crescere. “Credo che stiano esagerando e penso che ad un certo punto le persone inizieranno a resistere,” afferma il diplomatico del Consiglio di Sicurezza. Ma altri all’ONU non condividono questa opinione. Gli stati più piccoli in Africa e in Medio Oriente, molti dei quali dittature, risentono del dominio americano post-guerra fredda alle Nazioni Unite. E perché la Cina non dovrebbe contrastarlo, chiede un diplomatico di un paese in quella parte del mondo. L’inviato afferma che i paesi potrebbero essere soggetti alle pressioni della Cina quando vuole qualcosa, ma che l’America, anche se non in modo così schietto, può anch’essa essere transazionale. Alcuni dei paesi più piccoli potrebbero essere contenti di avere nuovamente due grandi potenze in competizione per il loro favore.
“C’è un certo grado di ipocrisia al riguardo,” afferma Richard Gowan dell’International Crisis Group, una ONG per la prevenzione dei conflitti. “Sarebbe strano immaginare che la Cina come potenza emergente non vorrebbe una partecipazione maggiore nel sistema multilaterale.” Pochi se lo immaginerebbero ora.