Sosteniamo la democrazia a Hong Kong per difendere i diritti umani
di Matteo Angioli, il Dubbio
Nel 2015 Marco Pannella disse: “lottiamo contro forme di legalità nelle quali la libertà di pensiero viene sempre temuta piuttosto che coltivata”
La Giornata Mondiale dei Diritti Umani fu istituita nel 1950 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per celebrare la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Il 5 dicembre 1955 era un lunedì. Quella settimana di 64 anni fa, nella città statunitense di Montgomery in Alabama, non ebbe l’abituale inizio spossato e segregato. Quattro giorni prima, la spossatezza si era trasformata in saturazione e l’insopportabile segregazione in inarrestabile azione nonviolenta. Il 1° dicembre, una signora, Rosa Parks, non cedette il suo posto in autobus ad un uomo bianco. Fu arrestata per aver infranto una legge locale sulla segregazione raziale.
Quel 5 dicembre, il 90% degli abitanti della comunità afro- americana di Montgomery uscì di casa prima del solito. Anziché recarsi alla fermata dell’autobus, si incamminarono verso i luoghi di lavoro. Al ritorno, si recarono alla Chiesa battista di Holt Street dove un giovane reverendo ventiseienne, Martin Luther King jr, li incoraggiò. Li esortò, incluso sé stesso, a non mollare. Li convinse. Antepose il ruolo della democrazia all’obiettivo stesso del boicottaggio: “Siamo qui per il nostro amore per la democrazia, per la nostra profonda convinzione che la democrazia che si trasforma da un sottile foglio ad una densa azione è la migliore forma di governo sulla terra (…) Una dei cittadini migliori di Montgomery – non uno dei migliori cittadini negri, ma uno dei migliori cittadini – è stata arrestata perché si è rifiutata di cedere il suo posto sull’autobus ad un bianco”.
Ebbe così inizio il boicottaggio degli autobus. Originariamente nata come una protesta di un giorno, divenne uno sciopero di un anno che terminò il 20 dicembre 1956, con la decisione della Corte Suprema sull’incostituzionalità della segregazione raziale sugli autobus.
Storiella vecchia e sdolcinata? No, attuale e profonda. Come l’innata aspirazione alla libertà di ogni essere umano. Lo vediamo in Venezuela, Cile, Bolivia, Libano, Iraq, Iran, Hong Kong. La differenza tra oggi e allora è nelle parole di M. L. King: “Questa è la gloria dell’America, con tutti i suoi difetti. Se fossimo confinati dietro la cortina di ferro di una nazione comunista non potremmo farlo. Se fossimo rinchiusi in un carcere di un regime totalitario non potremmo farlo. Ma la gloria della democrazia americana è il posto giusto per protestare”. La Cina a partito unico non è il posto giusto dove protestare, e perciò è ammirevole la costanza con cui persone di ogni età e strato sociale manifestano da sei mesi avanzando cinque richieste specifiche ( i “boicottatori” di Montgomery ne avevano tre).
Oggi gli Stati autoritari, come la Repubblica Popolare Cinese, promuovono il concetto di “Stato di Diritto” come strumento di legalità finalizzata al controllo della popolazione attraverso la rigorosa applicazione della legge. Niente a che vedere con la separazione dei poteri e la protezione delle minoranze. La segregazione in Alabama era legale. La schiavitù negli Stati confederati era legale. La deportazione degli ebrei era legale. Ma lo Stato di Diritto è l’applicazione giusta di leggi giuste, cioè rispettose dei diritti umani sanciti dai trattati internazionali.
Nel 2015, in una conferenza sull’universalità dei diritti umani, Marco Pannella disse: “Il diritto è una cosa, la legalità un’altra. Ne esiste una nella quale si legalizzano misure illudendosi che siano forme prudenti di difesa dell’ordine costituito (…) siamo qui per lottare contro forme di legalità che sono nemiche delle visioni liberali, delle visioni laiche nelle quali la libertà di pensiero viene sempre temuta piuttosto che coltivata.”
Nel Partito Radicale ci sono dei sognatori. Non solo perché il caso vuole che sia stato fondato l’ 8 dicembre 1955, proprio nel giorno in cui il reverendo King presentò le tre richieste al governo locale, ma perché riteniamo indispensabile mobilitarci a sostegno della democrazia a Hong Kong e altrove, non su un “sottile foglio” ma nella “densa azione” quotidiana.
Entro il 2047, anno in cui tornerà sotto la giurisdizione cinese, Hong Kong non solo sarà ancora democratica, ma avrà contagiato il regime anti- democratico pechinese.