Espulsioni e arresti per il Wall Street Journal, Gui Minhai e Jimmy Lai
Paradossalmente il dilagare del Coronavirus nel mondo sembra veicolare ancor di più il messaggio della supremazia del sistema socialista con caratteristiche cinesi, a partire dalle organizzazioni multilaterali che si mostrano sempre più obbedienti nei confronti del Partito Comunista Cinese. Un po’ per ragioni di finanziamento, un po’ per il controllo delle agenzie specializzate e buona parte dei paesi in via di sviluppo, e infine – e in modo crescente – per la riuscita campagna di Xi Jinping di riscrivere le regole internazionali con un linguaggio e approccio dotati da “caratteristiche cinesi” come testimonia il linguaggio adottato dal Segretario Generale ONU Guterres all’apertura della 43° sessione del Consiglio Diritti Umani a Ginevra questa settimana.
Ma non solo Pechino è impegnata più che mai in questo sforzo propagandistico, su cui investe somme ingenti, tenta di approfittare della disattenzione pubblica per silenziare qualsiasi voce dissenziente (e risulta difficile non notare che per l’ennesima volta il governo italiano si dimostra “sinezizzato” sia nella tattica tempistica adottata che nella misura orwelliana approvata delle intercettazioni ambientali).
Nel giro di una sola settimana ha effettivamente espulso due giornalisti del Wall Street Journal – offrendo “ospitalità umanitaria” temporanea al terzo giornalista espulso che si trova a Wuhan -, in punizione per il titolo “razzista e offensivo” di un recente pezzo di opinione pubblicato dal Journal come ha affermato il Ministero degli Esteri cinese; ha condannato il libraio sino-svedese di Hong Kong Gui Minhai a dieci anni di carcere, dimostrando non solo la sua prepotenza nella violazione delle regole internazionali rubandogli letteralmente la cittadinanza svedese ma anche quanto le paure espresse dai manifestanti nei mesi scorsi sulla proposta di legge sulle estradizioni fossero fondate; e ha fatto arrestare a Hong Kong il magnate dei media che pubblica il popolare quotidiano anti-governativo Apple Daily, Jimmy Lai, e due politici pro-democrazia..
Laura Harth
Di seguito, traduzione di un articolo su ciascuna delle vicende:
- Wall Street Journal, 19 febbraio 2020 – “China Expels Three Wall Street Journal Reporters”
- The Guardian, 25 febbraio 2020, “Hong Kong bookseller Gui Minhai jailed for 10 years in China”
- The Guardian, 28 febbraio 2020, “Hong Kong media tycoon Jimmy Lai arrested on charges of illegal assembly”
La Cina espelle tre giornalisti del Wall Street Journal
Ministero degli Esteri cinese parla di punizione per un recente pezzo di opinione sul Journal
Wall Street Journal, 19 febbraio 2020
La Cina ha revocato le credenziali di stampa a tre giornalisti del Wall Street Journal a Pechino. E’ la prima volta che il governo cinese espelle simultaneamente più giornalisti di una singola organizzazione di stampa internazionale da quando il paese ha iniziato la sua riapertura verso il mondo dall’epoca del post-Mao.
Il Ministero degli Esteri cinese ha dichiarato che la mossa di mercoledì era la punizione per un recente pezzo di opinione dal Journal.
Il vice capo ufficio Josh Chin e il giornalista Chao Deng, entrambi cittadini statunitensi, così come il reporter Philip Wen, un cittadino australiano, hanno ricevuto l’ordine di lasciare il paese entro cinque giorni, ha dichiarato Jonathan Cheng, capo ufficio cinese del Journal.
Le espulsioni del Ministero degli Esteri cinese fanno seguito alla diffusa rabbia pubblica sul titolo di opinione nell’edizione del 3 febbraio, che si riferiva alla Cina come “il vero uomo malato dell’Asia”. Il Ministero e i media statali avevano ripetutamente richiamato l’attenzione sul titolo in dichiarazioni e post sui social media, e avevano minacciato conseguenze non specificate.
La frase “uomo malato dell’Asia” veniva usata sia da estranei che da intellettuali cinesi per riferirsi a una Cina indebolita e sfruttata dalle potenze europee e dal Giappone tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900. Questo periodo viene ora descritto nei manuali di storia cinese come il “secolo dell’umiliazione”.
L’uso da parte del Journal della frase nel titolo di un pezzo d’opinione dello studioso dell’Hudson Institute Walter Russell Mead, il quale si riferiva all’epidemia di coronavirus in Cina, ha scatenato ondate di commenti rabbiosi sui social media in Cina e altrove.
“Purtroppo, ciò che il WSJ ha fatto finora non è altro che parare e schivare le sue responsabilità,” ha dichiarato il portavoce del Ministero degli Esteri Geng Shuang durante una conferenza stampa quotidiana. “Il popolo cinese non accoglie quei media che parlano un linguaggio razzista e discriminatorio, diffamando e attaccando la Cina con malizia.”
Il Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo ha criticato l’azione della Cina, dicendo: “Gli Stati Uniti condannano l’espulsione della Cina di tre corrispondenti stranieri del Wall Street Journal. Paesi maturi e responsabili comprendono che una stampa libera riporta fatti ed esprime opinioni. La risposta corretta è presentare argomenti contrari, non limitare la parola. Gli Stati Uniti sperano che il popolo cinese potrà godere dello stesso accesso a informazioni accurate e libertà di parola di cui godono gli americani.”
Il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ) ha invitato la Cina a ripristinare immediatamente le credenziali stampa dei giornalisti del Journal.
“L’espulsione di tre corrispondenti accreditati in reazione a quello che la Cina vede come titolo offensivo nella sezione opinioni del Wall Street Journal fa apparire il paese come un prepotente permaloso piuttosto che una potenza globale in ascesa. Durante un’emergenza sanitaria globale, è controproducente per le autorità cinesi limitare il flusso di notizie e informazioni,” ha affermato Steven Butler, coordinatore CPJ per l’Asia.
Ad agosto, il governo cinese non ha rinnovato le credenziali di stampa per Chun Han Wong, corrispondente del Journal con sede a Pechino che aveva co-scritto un articolo di notizie su un cugino del Presidente cinese Xi Jinping, le cui attività erano sotto il controllo delle forze dell’ordine e delle agenzie di intelligence australiane.
La vita privata di Xi e quella dei suoi parenti sono considerate sensibili dalle autorità cinesi. All’epoca il Ministero degli Esteri aveva messo in guardia il Journal contro la pubblicazione dell’articolo, avvertendo conseguenze non specificate.
Wong è stato il primo giornalista del Journal a Pechino a cui sono state negate le credenziali da quando il giornale ha aperto un ufficio a Pechino nel 1980.
Negli ultimi anni Pechino ha assunto una posizione più combattiva con i media stranieri, poiché il governo di Xi Jinping esercita un controllo maggiore sulle informazioni, riaffermando l’influenza del Partito comunista sulla vita dei cittadini.
Ha rifiutato di rinnovare le credenziali di numerosi giornalisti, ma era dal 1989 che non aveva espulso un corrispondente estero accreditato.
A seguito del massacro di Tiananmen, le autorità cinesi avevano espulso contemporaneamente due giornalisti americani, sebbene lavorassero per diverse organizzazioni giornalistiche. John Pomfret era corrispondente dell’Associated Press mentre Alan Pessin era capo ufficio di Pechino per Voice of America.
L’espulsione simultanea dei giornalisti del Journal segna “una forma di ritorsioni senza precedenti contro i giornalisti stranieri in Cina,” ha affermato il Foreign Correspondents’ Club of China. “L’azione contro i corrispondenti del Journal è un tentativo estremo e ovvio da parte delle autorità cinesi di intimidire le organizzazioni di stampa straniere con la minaccia di punizione dei loro corrispondenti basati in Cina.”
La censura viene imposta anche più rigorosamente ai notiziari nazionali e ai social media, e le autorità hanno rafforzato i firewall internet progettati per impedire ai cinesi di accedere alle notizie straniere che Pechino ritiene discutibili, incluso il sito web del Journal.
Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha dichiarato di aver deciso di paragonare le operazioni dei media cinesi sul suolo americano a missioni stranieri, simili a ambasciate o consolati, l’ultima mossa in una serie progettata per spingere il Partito comunista cinese ad allentare i controlli sui diplomatici e media stranieri.
I dipendenti di tali organizzazioni giornalistiche saranno ora tenuti a registrarsi presso il Dipartimento di Stato come personale consolare, anche se le loro attività giornalistiche non verranno toccate.
Geng, portavoce del Ministero degli Esteri cinese, ha definito tale cambiamento “totalmente ingiustificato e inaccettabile” e ha avvertito di ripercussioni non specificate.
I giornalisti espulsi:
Josh Chin, 43 anni, vice capo ufficio del Journal, ha lavorato per il giornale in vari ruoli dal 2008 e negli ultimi anni si è occupato di sicurezza informatica, legge e diritti umani. Una squadra da lui guidata ha vinto un Gerald Loeb Award 2018 per la sua copertura dell’uso pionieristico della sorveglianza digitale del Partito comunista.
Chao Deng, 32 anni, è entrata a far parte del Journal nel 2012 e ha lavorato da Shanghai, Hong Kong e Pechino. Le sue recenti aree di interesse includevano l’economia e la finanza della Cina, e la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Più di recente, Deng stava in missione a Wuhan.
Philip Wen, 35 anni, ha iniziato al Journal nel 2019, e ha riferito sulla politica cinese. Ha co-scritto l’articolo con Wong sul cugino di Xi Jinping.
Tutti e tre hanno riferito della sorveglianza di massa e della detenzione dei musulmani uiguri da parte del Partito comunista cinese nella regione occidentale dello Xinjiang.
Il libraio di Hong Kong Gui Minhai incarcerato per 10 anni in Cina
Il cittadino svedese scomparso nel 2015 condannato per “aver fornito informazioni” all’estero
Lily Kuo, The Guardian, 25 febbraio 2020
Un tribunale cinese ha condannato il libraio svedese Gui Minhai a 10 anni di carcere per “aver fornito informazioni” all’estero, approfondendo le tensioni diplomatiche con la Svezia che ne aveva esortato il rilascio.
Martedì, un tribunale di Ningbo, una città portuale orientale, ha dichiarato la sua colpevolezza, privandolo dei diritti politici per cinque anni oltre alla sua pena detentiva. La breve dichiarazione del tribunale affermava che Gui si era dichiarato colpevole e che non si sarebbe appellato contro la sentenza.
Il Ministro degli Esteri svedese, Ann Linde, ha dichiarato a Radio Svezia: “Siamo sempre stati chiari sul fatto che esortiamo il rilascio di Gui Minhai in modo che sia in grado di riunirsi con sua figlia e la sua famiglia. E questa rimane la nostra posizione. Chiediamo l’accesso immediato al nostro cittadino svedese per dargli tutto il supporto consolare a cui ha diritto.”
Gui, cittadino svedese nato in Cina, gestiva una casa editrice di Hong Kong che acquistò la libreria indipendente Causeway Books, famosa per i titoli di pettegolezzi sull’élite politica cinese.
Era una delle cinque persone associate al negozio che sono scomparsi nel 2015, una notizia che sconvolse Hong Kong, suscitando timori per la crescente presa della Cina sulla città in cui l’industria editoriale aveva da tempo goduto delle libertà concesse nell’ambito del paradigma “un paese, due sistemi”.
Inizialmente le autorità cinesi dichiararono che Gui, scomparso dalla sua casa di vacanza in Thailandia, era stato arrestato per sospetto di operazioni commerciali illegali.
“Sappiamo tutti, nonostante i cambiamenti del governo nelle accuse, che la vera ragione del calvario di Gui è che ha pubblicato libri critici nei confronti della leadership cinese,” ha detto Yaqiu Wang, ricercatore cinese di Human Rights Watch.
Gui è stato tenuto incommunicado per mesi prima di riapparire sulla televisione di stato nella Cina continentale nel 2016, dove ha affermato di essersi auto-presentato alle autorità per un incidente stradale sotto effetto di alcool, accaduto un decennio prima. Molti osservatori di diritti umani sono convinti che è stato costretto a rendere tale dichiarazione.
E’ stato parzialmente rilasciato nel 2017 ma con il divieto di lasciare il paese. Nel gennaio 2018, è stato arrestato da agenti in borghese mentre viaggiava con due diplomatici svedesi per un appuntamento medico.
Settimane dopo, Gui riapparve durante una conferenza stampa organizzata dal governo cinese per dire che la Svezia aveva “sensazionalizzato” la sua storia e che lo aveva ingannato nel tentativo di fuggire dalla Cina per la Svezia, in un’altra confessione che amici e attivisti per i diritti umani credevano fosse sotto costrizione: “Ci sono cascato. La mia vita meravigliosa è stata rovinata e non mi fiderei mai più degli svedesi.”
La condanna di Gui arriva mentre l’attenzione globale è focalizzata sull’epidemia del coronavirus. Spesso la Cina annuncia i verdetti per dissidenti e altre figure sensibili quando il pubblico occidentale potrebbe essere distratto, come ad esempio a Natale.
“Sembra che Gui sia stato processato e condannato in segreto, negandogli ogni possibilità di un processo equo,” ha dichiarato Patrick Poon, ricercatore cinese presso Amnesty International, definendo il verdetto “deplorevole” e basato su accuse infondate. “Dalla sua scomparsa in Thailandia nel 2015 ad oggi, sono sempre state le autorità cinesi a tenere Gui Minhai. Fornire informazioni di intelligence a entità straniere in maniera illegale? Come avrebbe potuto farlo?”
A novembre, Swedish Pen ha assegnato a Gui il premio Tucholsky – dallo scrittore tedesco Kurt Tucholsky che fuggì dalla Germania nazista per la Svezia – per scrittori perseguitati. La Cina aveva affermato che la Svezia ne “avrebbe subito le conseguenze”.
Il tribunale di Ningbo ha riconosciuto che Gui era diventato cittadino svedese negli anni ’90, ma ha aggiunto che era stato lui a fare domanda per ripristinare la sua cittadinanza cinese nel 2018. La Cina non riconosce la doppia cittadinanza e secondo osservatori il ripristino del suo passaporto cinese potrebbe essere stato un modo per impedire ai diplomatici svedesi di visitarlo.
Critici hanno dichiarato che ci sono anche stati degli sforzi per silenziare la sua figlia, Angela Gui, che ha fatto pressioni per il suo rilascio.
Anna Lindstedt, ex ambasciatrice della Svezia a Pechino, è sotto inchiesta dopo aver mediato un incontro non autorizzato tra Angela Gui e due uomini cinesi che affermavano di poter rilasciare suo padre. Secondo quanto dichiarato sul suo blog da Angela, gli uomini hanno usato l’incontro per costringerla a smettere di parlare.
Michael Caster, un difensore dei diritti umani e co-fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Safeguard Defenders, ha dichiarato: “Se vuoi capire l’entità delle violazioni dei diritti umani perpetrate dalla Cina, il caso di Gui Minhai è brutalmente emblematico.”
Gui, nato a Ningbo, ha trascorso gli anni ’80 a Pechino prima delle proteste di Tiananman, scrivendo poesie pubblicate in opuscoli distribuiti durante quella rara finestra di apertura e dibattito. Successivamente si trasferì a Göteborg per studiare e divenne cittadino svedese.
Dopo essere tornato in Cina, e successivamente ad Hong Kong all’inizio degli anni 2000, è entrato nel settore dell’editoria e ha scritto diversi libri con un nom de plume.
Nelle proteste anti-governative che hanno scosso Hong Kong per la maggior parte dell’anno scorso, i casi dei librai sono spesso citati come esempio della rapida erosione delle libertà nella città sotto il controllo cinese.
Gli altri quattro venditori di libri, che resero anche loro confessioni trasmesse dai media statali, furono infine rilasciati. Prima di scomparire nel 2015, secondo quanto riferito Gui stava preparando la pubblicazione di un libro sulla vita amorosa del leader cinese Xi Jinping.
Jimmy Lai, il magnate dei media di Hong Kong è stato arrestato con l’accusa di assemblea illegale
Lai, arrestato con altri due attivisti e successivamente rilasciato su cauzione, è un grande mecenate finanziario del movimento democratico di Hong Kong
Verna Yu and Helen Davidson, The Guardian, 28 febbraio 2020
La polizia di Hong Kong ha arrestato tre esponenti veterani del movimento per la democrazia per la loro partecipazione a una marcia anti-governativa non autorizzata.
Jimmy Lai, il 71enne fondatore di Next Media, che pubblica il popolare quotidiano anti-governativo Apple Daily, è stato prelevato venerdì mattina dalla polizia per aver preso parte a una marcia vietata dalla polizia il 31 agosto.
Lai, critico schietto di Pechino e un grande mecenate finanziario del movimento democratico di Hong Kong, è stato prelavato dalla polizia a casa sua.
Anche Lee Cheuk-yan, 63 anni, vicepresidente del Partito laburista, è stato portato via dalla polizia da casa sua venerdì mattina per aver preso parte alla marcia. Il partito ha condannato l’arresto come una repressione dei diritti del popolo di Hong Kong alla protesta pacifica.
Entrambi gli uomini sono stati rilasciati su cauzione venerdì pomeriggio. Lai ha rifiutato di parlare con i giornalisti in attesa fuori dalla stazione di polizia mentre Lee ha accusato il governo di persecuzioni politiche.
Lee ha detto che la polizia ha chiesto di consegnare il suo telefono cellulare e temeva che avrebbero usato informazioni su di esso contro di lui. La polizia voleva anche i vestiti che indossava e una borsa che portava il 31 agosto.
“Il governo vuole vendicarsi e saldare i contri (con noi) – usano l’intimidazione per trattare con il popolo di Hong Kong,” ha detto Lee.
Sempre venerdì mattina, anche Yeung Sum, 72 anni, ex presidente del Partito Democratico, è stato portato via dalla polizia.
Gli uomini sono stati arrestati con l’accusa di aver preso parte a un’assemblea illegale. Osservatori affermano che i loro arresti indicano che il governo di Hong Kong è determinato a intensificare la sua vendetta su influenti figure pro-democrazia che vedono avere un ruolo guida nel movimento anti-governativo, che negli ultimi mesi ha causato la più grave crisi politica per le autorità di Pechino e di Hong Kong da decenni.
Centinaia di migliaia di manifestanti hanno sfidato il divieto della polizia in una marcia del 31 agosto organizzata dal Civil Human Rights Front, un gruppo che ha organizzato proteste di massa che hanno attirato fino a due milioni di persone durante la crisi politica provocata da una controversa legge di estradizione iniziata a giugno dell’anno scorso.
Durante la marcia, la folla ha occupato le principali arterie della città e i manifestanti hanno assediato il quartier generale del governo in mezzo a scontri con la polizia antisommossa. In seguito, proteste e scontri si sono diffusi nel porto fino a Kowloon, e un gruppo di agenti della polizia antisommossa ha fatto irruzione in un treno nella stazione sotterranea di Prince Edward, attaccando manifestanti e pendolari all’interno con manganelli e spray urticante.
L’evento ha dato origine a voci su vittime nascosti e manifestanti hanno allestito santuari fuori dalla stazione per mesi, e continuano a tenere proteste su piccola scala per commemorare l’attacco ogni mese.
Il legislatore pro-democrazia Andrew Wan ha detto ai giornalisti che la marcia non era stata organizzata dai tre uomini e che i loro arresti avrebbero avuto “un effetto agghiacciante” nella società.
Un portavoce della polizia di Hong Kong ha confermato gli arresti dei tre uomini venerdì. Senza dare i loro nomi, ha detto che i tre erano stati accusati di aver partecipato a un’assemblea non autorizzata il 31 agosto dell’anno scorso e che avrebbero dovuto comparire in tribunale a maggio. Ha detto che Lai è anche accusato di intimidazione criminale per un reato del 4 giugno 2017. Secondo quanto riferito, Lai avrebbe bestemmiato contro un giornalista del giornale pro-Pechino Beijing Oriental.
Gli arresti arrivano dopo un periodo di relativa calma nel centro finanziario asiatico dopo mesi di intense proteste anti-governative.
Le autorità di Hong Kong hanno arrestato più di 7000 persone per il loro coinvolgimento nelle proteste, molte con l’accusa di sommosse che possono portare a una pena detentiva fino a dieci anni. Non è chiaro quanti di loro siano attualmente ancora in custodia.
La rabbia pubblica è cresciuta nel corso dei mesi a causa della percezione che la Cina ha stretto la sua presa sulla città. Pechino nega le ingerenze e incolpa l’Occidente di fomentare disordini.
Lai era stato precedentemente arrestato nel 2014 per essersi rifiutato di lasciare un sito di protesta per la democrazia nel centro della città. A seguito del suo arresto, ha rassegnato le dimissioni da capo redattore dell’Apple Daily. E’ stato anche sotto inchiesta dall’agenzia anti-innesto di Hong Kong quando hanno fatto irruzione nella sua casa nel 2014.
Albert Ho, avvocato e politico di alto profilo per la democrazia a Hong Kong, ha affermato che gli arresti fanno parte della “repressione continua contro Hong Kong”.
“Credo di essere il prossimo,” ha detto. “Carrie Lam sta escogitando un piano reprimere l’opposizione a Hong Kong, per metterla a tacere.”
Gli arresti sono avvenuti pochi giorni dopo la condanna di Gui Minhai, un libraio di Hong Kong, a 10 anni di prigione in Cina. Giovedì gli Stati Uniti hanno chiesto che Pechino lo liberasse immediatamente.
Gui, un cittadino svedese noto per aver pubblicato titoli salaci sui leader politici cinesi, è stato rapito mentre era su un treno per Pechino nel febbraio 2018, e questa settimana è stato condannato con l’accusa di aver fornito informazioni illegali all’estero.