Il giornalismo di Antonio Russo a servizio della verità. Anche a costo della vita

Venti anni fa veniva trovato in Georgia il corpo del corrispondente di Radio Radicale, che raccontò tutti i teatri di guerra degli anni ’90

Di Mariano Giustino, Huffpost

Parlare di Antonio Russo significa parlare di coraggio civile, di giornalismo, di giornalismo di guerra, di informazione, di verità di informazione, di diritto, degli ultimi, dei dimenticati, di informazione come testimonianza. Significa parlare di quelli che vivono la guerra in prima persona, perché la subiscono e ne soffrono per le gravi conseguenze.  Antonio Russo è stato un valoroso corrispondente di Radio Radicale in terribili teatri di guerra degli anni Novanta. Era un radicale-giornalista, come amava definirlo il leader del Partito radicale Marco Pannella.

“Di Antonio ci restano le straordinarie corrispondenze dai teatri di guerra. Il modo migliore per conoscerlo è ascoltarlo dal nostro archivio che da oggi, nella parte a lui dedicata, è completamente restaurato e digitalizzato grazie allo straordinario lavoro dei nostri archivisti e tecnici’’, ha detto il direttore di Radio Radicale, Alessio Falconio nell’annunciare la conferenza stampa, presso la Camera dei Deputati, in ricordo di Antonio Russo nel ventennale della sua morte.

Antonio non lavorava per sé, ma per l’umanità. Egli ebbe modo di dire in alcuni dei suoi rari interventi pubblici che era molto importante fornire documenti, fatti, per costringere la comunità internazionale a lavorare, tutta assieme, per fermare la guerra in Cecenia e che per questi motivi era lì, per informare e documentare a livello internazionale quanto accedeva in Cecenia e nel Caucaso. 
E in questo Antonio era molto radicale perché voleva che i diritti della persona diventassero “Diritto”.


Parlare di Antonio significa parlare di guerre nascoste, dimenticate. Come era appunto la guerra in Cecenia. Guerre, come quella cecena, delle quali era impedito a chiunque di documentare l’orrore.

Antonio Russo è stato il tenace cronista del ghetto di Grozny, è stato, secondo la definizione di Barbara Spinelli: “Una lampada accesa nel cuore del ghetto in fiamme”.


È stato assassinato il 16 ottobre 2000 per spegnere con la violenza uno dei pochi valorosi testimoni di una città rasa al suolo, come Varsavia nel 1944. Grazie ad Antonio Russo e ad Anna Politkovskaja i crimini contro l’umanità commessi in Cecenia da Putin, nella sua guerra nichilista di sterminio, non sono avvenuti a porte completamente chiuse.


A venti anni dal suo assassinio i responsabili non sono stati ancora assicurati alla giustizia, così come è avvenuto per la giornalista e attivista per i diritti umani Anna Politkovskaja.  Antonio era un cronista minuzioso – come amava dire il compianto Massimo Bordin, allora direttore di Radio Radicale. ‘’Raccoglieva notizie e descriveva la spietatezza della guerra che ogni giorno, nell’indifferenza di tutti, produceva vittime e di tutto questo faceva una ricostruzione quotidiana: tanti morti, tanti feriti, tanti scomparsi, tanti profughi, in un assordante silenzio generale. Amava mescolarsi e confondersi con le vittime fino a condividerne il quotidiano e il dramma della guerra’’, raccontava Bordin, il prestigioso conduttore della rassegna stampa di radio radicale.


Prima che in Caucaso era stato in Kosovo, dove rimase, ultimo giornalista europeo, a raccontare la “pulizia etnica” da una casa nella Pristina vessata dai rastrellamenti dell’armata serba. Sparì da Pristina alla fine del marzo del 1999 mescolandosi a tutti gli altri in un treno di profughi diretto in Macedonia. Aveva documentato anche la Guerra dei Grandi Laghi, la mattanza tra gli Hutu e i Tutsi. E aveva documentato anche i sanguinosi scontri avvenuti in Algeria.


Venti anni sono trascorsi dal suo assassinio, da quando il suo corpo fu trovato, il 16 ottobre 2000, sulla strada che da Tbilisi porta al confine con l’Armenia, a 25 chilometri dalla capitale della Georgia, a pochi chilometri da una basa militare russa, non molto distante dal Caucaso meridionale che è ancora in fiamme; in queste ore infatti nella regione si è riacceso il trentennale conflitto tra Armenia e Azerbaigian per il Nagorno-Karabakh, un’enclave a maggioranza armena situata in territorio azero, dove dall’inizio degli scontri, cioè dal 27 settembre scorso, si contano già circa centomila sfollati e il ritmo della vita quotidiana per gli abitanti della maggiori città del Karabakh è scandito dal suono delle sirene che avvertono di imminenti bombardamenti e la gente è costretta a cercare scampo nei rifugi.

L’autopsia effettuata sul corpo di Antonio non trovò tracce di ferite da incidente stradale o da aggressione, ma i suoi organi interni erano distrutti. 
Aveva ancora al collo una catenina con un crocifisso d’oro. Il suo appartamento di Tbilisi fu messo a soqquadro e risultavano mancanti la videocamera, il registratore, le cassette VHS e i taccuini, mai più ritrovati. Nulla più si è saputo sulla sua uccisione, non si è saputo chi l’abbia ucciso e quali siano stati i mandanti del suo assassinio.  Sappiamo però che è stato schiacciato come un insetto, in perfetto stile KGB, da chi in quei giorni, la Russia di Putin, tentava di imporre l’espulsione del Partito radicale dall’ONU, cioè di annullarne lo status di ONG, con l’accusa di appoggio al terrorismo ceceno.  Il voto era fissato per il 18 ottobre 2000, ma quel giorno l’ONU respinse la richiesta russa.

Antonio è morto per contribuire a che si evitasse che la tragedia in atto in Cecenia si compisse fino in fondo. Nel suo ultimo intervento pubblico ad una conferenza sui danni ambientali causati dal conflitto ceceno, tenutasi in Georgia, Antonio Russo aveva parlato di un probabile uso, da parte di Mosca, di proiettili all’uranio impoverito in Cecenia e, nel corso di una telefonata aveva detto alla madre, pochi giorni prima della morte, di essere in possesso di una videocassetta dal contenuto esplosivo, nella quale si documentavano le torture perpetrate dall’esercito russo ai danni della popolazione civile cecena.

Lo stesso destino è toccato ad Anna Politkovskaja, giornalista russa e attivista per i diritti umani, venne uccisa con quattro colpi di pistola nell’ascensore del condominio dove abitava, nel centro di Mosca, il 7 ottobre 2006, per colpire la libertà di stampa. E a quattordici anni di distanza il suo assassinio resta ancora avvolto nel mistero.  Anna Politkovskaja denunciava corruzione e violazione dei diritti umani in Cecenia. Due sospettati sono stati arrestati, ma non si è ancora riusciti a risalire al mandante né si conosce il movente. 

Secondo il Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa, dal 1992 circa 110 giornalisti sono stati uccisi in Europa a causa della loro attività
Quando si toccano argomenti delicati, quando si toccano realmente politiche di governo, quando si denunciano le violazioni dei diritti umani e si documentano questi orrori, la vita dei giornalisti e dei loro cari è in pericolo.


La violenza contro di essi diventa dunque una barbara forma di censura. 
In caso di omicidio di giornalisti, si nota che le indagini sono lente se non del tutto inesistenti, come è avvenuto anche per l’assassinio del giornalista ucraino Georgiy Gongadze. Nel 2009 è stata sequestrata ed assassinata a Grozny Natalia Estemirova. Estemirova, membro della ONG Memorial, stava lavorando ad una inchiesta su casi di violazione dei diritti umani che definiva “estremamente sensibili”. Le autorità cecene filorusse continuano ad accusare la prestigiosa Organizzazione Non Governativa per i diritti umani, “Memorial”, insignita del Premio Sakharov, di rendersi complice dei ribelli ceceni o di essere finanziata dai paesi occidentali. L’organizzazione è anche stata condannata per il crimine di oltraggio all’onore del presidente ceceno Ramzan Kadyrov, accusato da Memorial di essere il mandante dell’omicidio Estemirova. Altri attivisti di Memorial sono stati uccisi come Zarema Saudoulayeva e Alik Djabrailov.

Nei regimi autocratici lo stesso destino è riservato agli oppositori; avviene in Russia, come in Turchia o in Cina.


Aleksej Anatolievič Navalny, segretario del Partito democratico del progresso, nonché noto blogger molto critico nei confronti del presidente Putin è stato ridotto in coma in un tentativo di avvelenamento il 20 agosto scorso.
Figura di spicco dell’opposizione russa, era stato più volte arrestato e gli è costata cara la sua grande popolarità e il fatto di aver organizzato manifestazioni in favore della democrazia, contro la corruzione dei politici, contro l’annessione della Crimea, contro Putin e i suoi alleati.

Recentemente Navalny aveva accusato il leader della Repubblica Cecena, Ramzan Kadyrov, di essere il responsabile del tentato omicidio del dissidente ceceno Tumso Abdurachmanov; ha sostenuto le proteste in Bielorussia e Svjatlana Cichanoŭskaja nelle contestate elezioni presidenziali del paese.

La guerra in Cecenia, ufficialmente, è terminata. La strategia di Mosca è stata quella di dividere i ceceni seminando odio e violenza. Kadyrov, il presidente filorusso, in questo ruolo, è stato molto efficace e ha superato ogni limite. Un dato: sono state 150 le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo contro la Russia per violazione dei diritti umani in Cecenia. 
Circa 5 mila persone sono scomparse in questo paese ed è diventata ancora più drammatica l’urgenza di fare luce sui gravi crimini commessi.

Libertà di informazione e ricerca della verità sono state l’ispirazione e la grande lezione di Antonio Russo e di tutti gli altri. Le sue profonde e appassionate convinzioni si traducevano in una rigorosa ricerca di verità ed esigevano una severa e continua verifica oggettiva, da grande giornalista.


L’orizzonte di Antonio Russo era quello della nonviolenza e della costruzione dello Stato di diritto e della democrazia nel mondo, con la creazione di quella legalità internazionale che è la vera garanzia di pace nel pianeta. Auspicava anch’egli un impegno serrato per la rimozione degli ostacoli che si frappongono “all’affermazione e alla difesa del Diritto naturale, storicamente acquisito”, di ogni individuo alla libertà e alla democrazia.


Credeva, Antonio, in un giornalismo al servizio della verità. Anche a costo della vita, come per Anna Politkovskaja! Entrambi hanno servito le ragioni della verità e della libertà, coerentemente e coraggiosamente fino alla fine! Incuranti del pericolo, dell’ombra tenebrosa che incombeva e che poi li ha ghermiti! Senza però cancellare la luce di verità, che il loro coraggio, e il loro rigore, ha fatto risplendere nella coscienza del mondo! 
È nostro compito onorarne la memoria con le parole, con una informazione rigorosa e con l’impegno civile.

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