Noi Radicali contro il “silenzio stampa” che avvolge gli abusi sul processo penale

Di Maurizio Turco, Irene Testa, Giuseppe Rossodivita su il Dubbio

La settimana scorsa, grazie al Dubbio, è stata resa pubblica la inquietante e grave vicenda che ha colpito un avvocato difensore il cui microfono è stato repentinamente spento dal giudice, che ha così messo a tacere la sua voce e l’articolo 24 della Costituzione, durante un acceso contraddittorio con il pm, in quel simulacro di processo che viene oramai comunemente chiamato processo da remoto. La pandemia, com’è noto, ha acuito le gravissime criticità del sistema giustizia italiano, cenerentola tra i cosiddetti paesi sviluppati, e fino ad ora per fronteggiare l’emergenza, il governo ha saputo solamente sacrificare il diritto di difesa dei cittadini, nella non troppo celata speranza di poter rendere stabile il sistema anche a pandemia superata. E allora occorre dirlo forte e chiaro: il processo penale da remoto non è un processo, il processo cartolare in grado di appello non è un processo, è altro e a noi Radicali non piace affatto semplicemente perché rende solo apparente la difesa del cittadino portato a processo dallo Stato. Quanto accaduto all’avvocato Simona Giannetti, la cui voce è stata messa a tacere con un semplice clic, ne rappresenta in modo plastico la prova. Allo stesso modo non è accettabile anche solo pensare di celebrare il processo penale in appello, magari in Corte d’assise d’appello, con modalità “cartolari” e con giudici collegati tra loro sempre in remoto, al di fuori della camera di consiglio, unico luogo dov’è garantito il confronto, il dibattito e finanche lo scontro oltre che la conoscenza dei fascicoli processuali spesso composti da decine di migliaia di pagine. Ogni persona dispone di quattro beni fondamentali: la vita, la salute, la libertà e il proprio patrimonio, piccolo o grande che sia. Dei primi due la giustizia, con l’abolizione della pena di morte e il divieto di tortura, non si dovrebbe più occupare in realtà – come sappiamo esiste ancora la morte per pena –, degli ultimi due invece sì, e la libertà, in questa scala di valori, è il terzo bene più prezioso di cui dispone ogni essere umano.

Ebbene nel processo penale c’è in gioco la libertà personale, la libertà di un individuo accusato dallo Stato: e uno Stato che consente di togliere la libertà, magari per il resto della vita, con un collegamento on line magari dalla cucina di casa di un giudice, è uno Stato che mostra di non avere alcun rispetto per la libertà dei propri cittadini. Il Partito Radicale già a suo tempo aveva osteggiato ogni genere di distanza dell’imputato dal suo difensore e dal suo accusatore, oltre che dal suo giudice, quando aveva elevato la sua strenua opposizione rispetto alle norme che vollero nei processi per reati associativi il collegamento del detenuto in video- conferenza, anziché la sua presenza in aula. Oggi la pandemia non deve diventare l’alibi per dare seguito a quell’approccio che vede difesa e imputato come scomode presenze in aula le quali, allungando i tempi di una celere conclusione dei giudizi, sfavoriscono i numeri da offrire alla politica per dare bella mostra di un efficace funzionamento della giustizia. Le vicende sono state raccontate al Dubbio da Simona Giannetti, che e’ avvocato iscritta al Partito Radicale e membro della Commissione Giustizia del Partito: renderle pubbliche ha significato anzitutto far conoscere ciò che sta accadendo nei Tribunali virtuali e rivendicare la necessità di richiamare l’informazione sul pericolo che il diritto di difesa sia messo sempre più ai margini del processo penale. La Commissione Giustizia del Partito Radicale, composta da avvocati iscritti e istituita dopo l’espulsione dell’ex consigliere Luca Palamara che vi partecipa, è l’occasione per ribadire alla politica, che da quarant’anni a questa parte continua a dimenticare nella sua agenda la giustizia, e quanto quest’ultima sia profondamente malata. Non lo sanno tutti, che la giustizia è malata: lo sanno quei cittadini che davanti alla giustizia vengono chiamati, e lo sanno bene gli avvocati, che ogni giorno si recano nei palazzi per esercitare il diritto di difesa e che per primi, a causa delle disfunzioni dell’amministrazione giudiziaria, soffrono l’inefficienza del sistema. Ma la stragrande maggioranza dell’opinione pubbliva continua ad essere oggettivamente disinformata dal mainstream dei media italiani succubi, per interessi editoriali e per timore reverenziale, dello strapotere delle Procure e di quei pochi magistrati diventati vere e proprie star televisive. È questo il brodo culturale, si fa per dire, che porta a identificare gli avvocati con i loro assistiti, che porta a celebrare le indagini, in tv e sulla carta stampata come fossero sentenze, che porta poi a ignorare le sentenze quando, a distanza di anni, le stesse effettivamente arrivano. L’esigenza irrisolta di una Giustizia giusta e la necessità di una Informazione completa che la riguardi sono la ragione che ha indotto il Partito Radicale a istituire la Commissione Giustizia: l’obiettivo è un pacchetto di leggi da presentare alle istituzioni, anche in previsione di una primavera referendaria; i temi non possono che essere l’Informazione e la Giustizia.

1 Comment

  • Stefano Coculo 25 Gennaio 2021

    Nell’ambito del Tribunale Civile non hanno bisogno delle udienze “da remoto” per tappare la bocca alle persone. Circa tre anni fa, essendo stato trascinato in tribunale in seguito ad un’istanza, del tutto falsa e calunniosa, una giudice tutelare (di quelli ipocritamente definiti “onorari”, cioè avvocaticchi travestiti da giudici e pagati due soldi, non in grado di svolgere una professione così delicata e importante come quella del giudice) non fece altro, ad ogni udienza, che assumere un atteggiamento fortemente intimidatorio, limitando oltremodo il mio fondamentale diritto alla parola, come conseguenza di un pregiudizio insanabile formatosi nella sua testa vuota in base a chissà quali capriole mentali (sono stato costretto, tra l’altro – ma ciò non per un sopruso della pseudogiudice – a prestare giuramento, alla faccia della laicità dello Stato!). VIA I GIUDICI “ONORARI” DAI TRIBUNALI: NOI CITTADINI ABBIAMO PIENO DIRITTO A GIUDICI VERI, TOGATI, IMPARZIALI, IN POSSESSO DI UN’ELEVATA QUALIFICAZIONE PROFESSIONALE, BEN CONSAPEVOLI DELLA RILEVANZA DECISIVA DEL LORO RUOLO, VESTENDO LA TOGA PER PROFONDE MOTIVAZIONI ETICHE ED IDEALI E NON PER COMBATTERE I PROPRI LACERANTI COMPLESSI DI INFERIORITA’ E FAR DIMENTICARE A SE’ STESSI DI ESSERE DEI CRETINI!

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