Sig.ra Ministra Cartabia,
mi consenta, sommessamente, di porgerLe un consiglio: scompagini l’ordinaria ipocrisia che regna, indisturbata da oltre un trentennio, nella gestione del sistema penitenziario italiano e imponga una visone per davvero costituzionalmente orientata, valorizzando la possibilità concessaLe dal mandato governativo, per ricomporre un ragionevole contesto di regole che serva a migliorare le condizioni delle carceri, offrendo alla generalità delle persone detenute una reale e diffusa possibilità di riscatto che meriti di essere colta, anzitutto rendendo quel mondo più umano e già solo per questo più sicuro.
Segua il Suo intuito femminile, la Sua intelligenza, la Sua sensibilità e, soprattutto, accerti sempre la veridicità delle versioni che Le provengono dagli apparati, in particolare quelli di vertice.
Se poi Le permangono dei dubbi, si rivolga innanzitutto a chi operi in prima linea nelle carceri ed esiga che si riferisca con onestà, con lealtà, con chiarezza, con il cuore.
Non si fidi delle carte, fatte per essere scritte, dove tutto sembra funzionare al meglio, al punto che ancora oggi, e talvolta anche dalle stesse istituzioni, ivi comprese quelle proprio della giustizia, vi sono quanti, riferendosi al nostro real estate delle carceri, affermano temerariamente che vi sono istituti finanche a quattro, forse oggi a cinque, stelle, perché, mi creda, non è così.
Nella mia vita da operatore penitenziario, ora in quiescenza, ho visto moltissimi istituti e posso dirLe, certo di non poter essere smentito, che abbiamo delle realtà di cui dovremmo solo vergognarcene. Sono stato educatore, direttore, provveditore, operando in tante realtà territoriali, e mi sono sempre imposto di vederle senza filtri: delle carceri volevo percepirne gli odori ed i rumori, coglierne le mille architetture, gli spazi, scorgere i visi delle persone detenute e detenenti, percorrere i loro stessi corridoi, entrare nelle celle (oggi, eufemisticamente, per il potere simulatorio delle parole, indicate “stanze di pernottamento”), all’interno delle “Case”, circondariali e di reclusione.
Beh, dopotutto, anche in Bolivia il termine di casa è utilizzato, in particolare nella città di Bonaventura, per indicare quelle de “pique” !
Vedrà che, come da rito, Le ostenteranno le “eccellenze”: Bollate, i Due Palazzi, la Casa di Reclusione femminile di Venezia delle Giudecche e qualche altro istituto.
Quanti ne saranno ? dieci, venti…e gli altri, invece, cosa sono, di chi sono, non sono forse espressione della Repubblica Italiana ?
Ho visto, e non nel secolo scorso, carceri dove il personale ed i detenuti raccoglievano con i secchi l’acqua piovana che cadeva dai soffitti, ho visto istituti in cui le docce collettive erano ambienti tappezzati da muffe verdi e marroni, evocando location tropicali, e le piastrelle e le pareti erano come quelle delle case che subiscono gli attacchi dell’ISIS, ho visto celle dove il detenuto potrebbe perfino mescolare con il mestolo il pentolino, con manici rotondi, dove cucina il sugo, rimanendo tranquillamente seduto sulla tazza del gabinetto, tanto che gli spazi sono “ergonomici”, da economia “circolare”, ho visto carceri senza neanche uno spazio attrezzato e permanente per pregare un qualunque Dio, abramatico o meno, ho visto carceri senza acqua potabile se non solo tossica, ho visto muri di cinta transennati, con le garitte pericolanti, ho visto prigioni dove l’acqua, come nelle sorgive, sgorgava dai pavimenti, ho visto infermerie indicibili, ho visto salette dei colloqui privi di ogni riservatezza, ho visto detenuti con le labbra cucite, oppure in fin di vita per gli scioperi della fame protratti, ho visto detenuti appesi per sempre, ho visto uomini senza indumenti, se non quelli regalati dalla Caritas, ho visto anche degli agenti non farcela, ho visto operatori penitenziari piangere.
No, il carcere che ho visto ed ho conosciuto non è quello delle cucine gourmet e delle sfilate di moda, non è quello del personale dei baschi azzurri impettiti nel giorno del 2 giugno, non è quello del red carpet nel corso delle visite ufficiali perfettamente preannunciate, ma è quello della precarietà e, me lo faccia dire, dell’ingiustizia profonda. Non è certamente quello della Costituzione.
Lei potrà però dirmi: “ebbè, e Lei che cosa ha fatto per migliorarle ? bello parlare adesso che è comodamente in pensione e che fortuna ha avuto, giusto prima che scoppiasse la grana del Covid !”
Vero, però, e glielo dico con la massima consapevolezza, posso assicurarLa che ho sempre fatto il mio dovere, lasciando “prova”, traccia del mio operato, e se vorrà verificarlo non Le sarà difficile.
Ho sempre agito nel rispetto della Costituzione e dei principi di legalità e compassione, passando forse pure per folle. La mia strategia era quella della cosiddetta “la riduzione del danno”, imponendo a me stesso ed ai miei collaboratori di fare tutto il possibile, anzi il dovuto, con il poco “impossibile” che ci veniva, invece, messo a disposizione anno per anno, nella lunga stagione, ancora non terminata, delle riforme a costo zero.
Oggi, nonostante i grandi proclami, Lei troverà carceri senza direttori, senza educatori, senza agenti, senza psicologi, se non sulla carta o per poche ore, senza medici, senza infermieri, lì dove invece occorrerebbero presidi stabili e nutriti di operatori. La fortuna di trovare un forte e diffuso mondo del volontariato ha spesso consentito il galleggiamento del sistema, ancorché spesso proprio quello sia stato malamente indicato come “prossimo”, eccessivamente disponibile, verso i criminali. Che menzogna e che cattiveria !
La circostanza che il problema delle carceri sia, purtroppo, globale e non solo italiano, non aiuta, ma semmai è dimostrevole del tradimento generalizzato di grandi principi universali soltanto evocati.
Io, però, una proposta, Cara Ministra, gliela faccio:
Forse saprà che un folle Sindaco, Rodolfo Ziberna, un “visionario”, a capo della suggestiva Città di Gorizia, che con Nova Gorica (Slovenia) rappresenterà la Capitale Europea della Cultura nel 2025, su mio invito, avendo rilevato una di lui genuina sensibilità in tema soprattutto di diritti umani, ha lanciato l’ipotesi che si realizzi, proprio sul suo territorio, un Centro di Ricerca Europeo per la Sicurezza e Giustizia (CREUSeG), ove sia incardinata anche una struttura penitenziaria, destinata ad ospitare persone detenute che abbiano commesso reati di natura transnazionale, segnatamente quelli la cui competenza sarà dell’EPPO ( European Public Prosecutor’s Office). Tanto anche al fine di dare un senso compiuto a quello che, de iure condendo, potrebbe essere e già in parte è il sistema penale europeo, a mente dei reati previsti dalla Direttiva PIF, già individuati dalla Convenzione del 1995, cioè quelli di frode, corruzione e riciclaggio, con l’aggiunta della frode nelle procedure di appalto e il reato di appropriazione indebita di fondi europei da parte di un pubblico ufficiale, nonché la figura della corruzione passiva, estesa anche ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio di Stati non appartenenti all’Unione europea. Si aggiungono, poi, anche quelli afferenti le frodi IVA, quando l’importo delle stesse superi i 10 milioni di euro e la frode sia transnazionale, cioè che riguardi almeno due paesi dell’Unione (come nel caso delle cosiddette “frodi carosello”), per completare questo primo giro.
Attorno al Centro di Ricerca Europeo che si proporrà per Gorizia, andrebbe pure realizzato un vero e proprio hub, ove si farà ricerca tecnologica per fini securitari, attraverso lo sviluppo della robotica, della dronica, dell’impiego di nuovi materiali, degli strumenti informatici e di telecontrollo, etc., così come si svilupperà la ricerca giuridica e sociologica pertinente.
Insomma, una sorta di cittadella della Scienza Securitaria e della cultura penitenziaria applicata ai sistemi che definiremmo “totalizzanti” e che avrà anche il compito, pragmatico, di tradurre in veri e propri standard quei principi ancora troppo vaghi ed evanescenti delle regole penitenziarie europee.
La “Strasburgo Penitenziaria” di Gorizia, che verrebbe nella fase progettuale sostenuta da un nutrito Consorzio di realtà e centri di studio e di ricerca italiani ed europei, dovrebbe, con una propria struttura penitenziaria in loco, fornire il prototipo, il modello, al quale gli Stati UE, che aderiranno al progetto, potranno rifarsi, consentendo così di offrire al cittadino europeo un “servizio penitenziario”, qualunque sia il paese europeo, che non sia più una sorpresa, o meglio una cattiva sorpresa, perché risulteranno perfettamente descritte le condizioni dello stesso. Insomma, per capirci, sarà perfettamente profilato come debba essere una cella, dalle cubature, e non soltanto dalle superfici, ai servizi annessi, dalla quantità di ricambio dell’aria ai lux, artificiali e naturali, dall’altezza dei soffitti, al tipo di colori delle pareti, dall’ampiezza delle finestre, al tipo di arredi che dovranno essere assicurati, e così per i servizi di ristorazione, per quelli sanitari, per l’effettuazione dei colloqui e delle telefonate, o degli incontri con i familiari, per assicurarne l’intimità e riservatezza, così come gli aspetti legati alla affettività, alle professioni di fede, ma anche per quanto attenga le dotazioni e corredi personali, gli spazi ed i servizi destinati allo studio ed alla formazione professionale, idem per le guarentigie in materia di lavoro affinché non si degradi nello sfruttamento, insomma tutti e proprio tutti gli aspetti della vita detentiva dovranno tradursi in perfette e vincolanti istruzioni tecniche per l’uso da parte delle amministrazioni pubbliche, ivi comprese quelle che attengano al rapporto numerico tra detenuti e personale penitenziario, per sua natura evidentemente “specialistico”, con tutto ciò che attenga anche agli aspetti contrattualistici.
Anche il mondo del volontariato andrà riconsiderato, ai fini di una sua maggiore valorizzazione.
Insomma, una vera e propria “Revolución””.
Così risulterà finalmente facile ed oggettivo riconoscere meriti e responsabilità degli Stati.
Ma soprattutto, per quanto riguarda gli aspetti sanitari, andranno descritte e attuate le prescrizioni necessarie per evitare il rischio di malattie pandemiche, realizzando la struttura che accoglierà i detenuti transnazionali con modalità tali da assicurare, ove occorra ed ab initio, il distanziamento sanitario e l’adozione di protocolli operativi finalizzati a salvaguardare sia le persone ristrette che chiunque operi o faccia ingresso in istituto.
L’ipotesi progettuale ambiziosa è già depositata, fin dal 20 ottobre scorso, presso il Ministero dello Sviluppo Economico, ma è così importante che andrà condivisa, perché se la intesti, dal Consiglio Europeo, in accordo con la stessa Commissione Europea, posto che i vantaggi di tale impresa anche di cultura giuridica si rifletteranno, obiettivamente, su tutti gli Stati che vi aderiranno, di fatto migliorando le condizioni di vita di tutti i cittadini europei, detenuti e detenenti, favorendo la produzione di quel bene che indichiamo come “Sicurezza”.
Ecco, Sig.ra Ministra, ove anche Lei, insieme ai Suoi sottosegretari, sostenesse tale progetto, che andrà certamente meglio perfezionato e che oggi è soprattutto frutto di una vasta Community di specialisti nelle diverse discipline sociali, scientifiche, giuridiche, del volontariato, nonché di circoli intellettuali, ivi compresi quelli di filosofi, tutti convinti che pure nella sua ancora ineluttabile presenza, il carcere non debba essere considerato luogo di “chiusura”, consentirebbe all’Italia di trascinare gli altri Stati al cambiamento, piuttosto che essere trascinata innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Enrico Sbriglia
Former Dirigente Generale dell’Amministrazione Penitenziaria
Componente del Consiglio Generale del Partito Radicale Non Violento Transanzionale e Transpartito Componente dell’Osservatorio Regionale Antimafia del Friuli Venezia Giuli
La vera e grande innovazione sarebbe l’attuazione dell’art. 102 c. 3 della Costituzione: “La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia”. Bisogna perciò scrivere ed approvare la legge regolatrice dei casi e delle forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia. Ne possiamo parlare in casa radicale?