Il fatto nuovo della politica italiana è la nascita del Catto-Grillismo, un gattopardo vestito a festa. Dopo il referendum per la riforma della Giustizia, un fronte parlamentare per la riforma elettorale: diretta ad un turno, maggioritaria e uninominale con un Presidente della Repubblica eletto dal popolo.

Non abbiamo dimenticato il progetto di riforma istituzionale del M5S: taglio dei parlamentari-vincolo di mandato-referendum propositivo. Non abbiamo dimenticato i veementi interventi contro il taglio dei parlamentari: “anticostituzionale!”, si urlava dai banchi del PD, alla Camera e al Senato. E poi venne la prospettiva del potere a far vedere le cose diversamente: taglio dei parlamentari sì, ma prima ci vogliono delle riforme indispensabili per renderlo compatibile con la Costituzione, spiegò Zingaretti. Oggi non solo è stato ridotto il numero dei parlamentari e delle riforme non si vede nemmeno l’ombra ma soprattutto non se ne parla più.

Il 19 ottobre 2019 il Ministro Di Maio si espresse molto chiaramente: “L’epoca dei voltagabbana deve finire, si tratta del rispetto del voto dei cittadini. Non c’è accordo in maggioranza sul vincolo di mandato, ma se non si può cambiare la Costituzione almeno modifichiamo i regolamenti parlamentari”. Naturalmente escludendo dai voltagabbana coloro che in parlamento fanno il contrario di quello che hanno promesso in campagna elettorale, purché restino nel gruppo che li ha eletti e senza che il gruppo si definisca “voltagabbana”.
Oggi Letta traduce il programma dell’alleato chiave ma, con più stile, difende l’articolo 67 della Costituzione che prevede che il parlamentare agisca senza vincolo di mandato; e con una operazione degna di altri tempi, si limita a togliere ai parlamentari che cambiano gruppo qualsiasi strumento per esercitare il proprio mandato.
Pensavamo che con il catto-comunismo avessimo visto già tutto, ma adesso c’è il catto-grillismo, praticamente un gattopardo vestito con l’abito buono.

Se dovessimo votare nel 2012 e se fossimo una democrazia, non ci sarebbe più tempo per cambiare la legge elettorale. Infatti, il Consiglio d’Europa del quale l’Italia fa parte ed ha sottoscritto i relativi Trattati, ha stabilito che il cambio di una legge elettorale debba avvenire almeno almeno un anno prima del voto, così da poterla far conoscere ai cittadini e mettere i potenziali competitori elettorali in condizione di competere.

Ma, come sembra probabile, voteremo nel 2023 e allora c’è il tempo per una riforma elettorale. Si può fare.
Nessuno aveva previsto che il 2 luglio ci sarebbe stata l’apertura di una campagna referendaria sulla giustizia promossa dal Partito Radicale e da Matteo Salvini e la Lega.
Si può fare una legge elettorale che metta al centro le scelte del cittadino: diretta ad un turno, maggioritaria e uninominale con un Presidente della Repubblica eletto dal popolo.

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