La giustizia e la divisione delle carriere

Politica e giustizia sono temi che sollecitano gli umori in direzione del concetto di legalità, avvertito come un traguardo ambìto ma tutt’altro che raggiunto nelle tante ingiustizie che dividono il Paese. Fra l’altro, è naturale chiedersi se possa considerarsi giustizia la lentezza dei processi che ci affligge. Nel campo civile, può dirsi giusta una sentenza pronunziata dopo una decina d’anni? Ciò è quanto avviene nella materia successoria, dove si dà tempo agli eredi in lite di morire per modo che a loro volta diano spazio a una nuova causa fra gli eredi che arrivano. E che dire del penale! Può ritenersi giustizia mantenere sotto processo per anni una persona per “atto dovuto”, come si dice, per assolverla poi, magari per prescrizione, dopo un calvario penoso e distruttivo? Da noi, forse unici al mondo, c’è l’obbligo di esercizio dell’azione penale, inoltre rinforzato dal reato di depistaggio. Insomma, una corsa al processo quasi che fosse fonte di benessere piuttosto che una rovina per il Paese. Pare che siamo fuori della logica. In effetti, bisogna prendere atto del vuoto che la politica ha creato trasferendo le proprie ansie d’idealità nella giustizia penale, intravista illusoriamente come un miraggio di moralizzazione, con l’effetto imprevedibile ma inesorabile di assimilare lo Stato di diritto a uno Stato di diritto penale. Non va dimenticato che il dilemma politica-giustizia non è esclusivo dei palazzi di giustizia. La giustizia non deve essere intesa come un’accademia d’indiziati ma come un altissimo servizio dello Stato che esprima soprattutto chiarezza e ragionevole moderazione. E ogni potere dev’essere soggetto alla regola del bilanciamento, in modo da evitare eccessi di potere che non giovano. Difatti, può vedersi come l’eccesso di potere conferito con delega in bianco all’ufficio del pubblico ministero diviene oggi causa di disfunzioni giudiziarie che rompono il necessario equilibrio fra indagini e processo. Queste considerazioni inducono in favore della separazione delle carriere giudici-pm, anche per un adeguamento al resto del mondo occidentale, visto che siamo l’unico Paese ad avere un pubblico ministero che, nei fatti e nell’opinione pubblica, viene considerato (impropriamente) un giudice.

di Massimo Krogh

Corriere della Sera, 4 ottobre 2021

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