XI Congresso degli iscritti italiani. Intervento dell’Ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata.

Congresso degli iscritti italiani al Partito Radicale

Roma, 29 | 31 ottobre 2021

Cari Amici, cari Compagni radicali,

desidero innanzitutto associarmi e sostenere con forza gli indirizzi e gli obiettivi proposti dalle relazioni di apertura di questo Congresso da Maurizio Turco e Irene Testa, nella condivisione del dibattito e dei contributi importanti emersi in queste tre giornate.

L’azione del Partito, la sua visibilità e l’influenza sulle grandi questioni che da molto, troppo, tempo lottiamo affinché siano affrontate realmente, e incisivamente risolte, hanno conquistato spessore, consensi, nuovi sostegni e alleanze.

Con i referendum, specialmente con il referendum sulla Giustizia, abbiamo imboccato una strada che deve offrire una ben maggiore solidità e credibilità allo Stato di Diritto del nostro Paese, e solidità e credibilità all’Italia, in Europa e tra le Democrazie liberali alle quali soprattutto guardiamo e tra le quali vorremmo positivamente distinguerci.

Un grande interprete e divulgatore del pensiero di Emmanuel Kant, il Professor Roger Scruton scriveva, a proposito dell’identità dei popoli europei e occidentali, alcune considerazioni che a mio avviso rivestono un ancor più evidente ragion di essere oggi, rispetto all’inizio dello scorso decennio, quando erano state pronunciate. Scruton scriveva, allora, preoccupandosi dell’arretramento dei valori conservatori e liberali – nel senso che tali aggettivi hanno nella storia del Diritto e della cultura politica britannica – a fronte del progressivo e assoluto relativismo, delle indifferenze e delle deroghe ai principi fondamentali delle libertà e della dignità umana.

L’ondata terroristica del 2015, lo tsunami della radicalizzazione jihadista con il Bataclan, Nizza, lo Stato islamico, la propaganda dogmaticamente assertiva e sempre più condizionante della Cina neo-maoista, non erano ancora diventate – quando Scruton scriveva queste righe – una realtà così immanente e inquietante, consentitemi di dire “minacciosa”, come quella che stiamo vivendo da alcuni anni, e che si è ancor più drammatizzata con la pandemia del Covid-19 cinese.

Eppure, già nel gennaio 2014, Roger Scruton ammoniva: “nella situazione nella quale noi, gli eredi sia della civiltà occidentale sia della sua parte di lingua inglese ci troviamo, siamo ben consapevoli delle buone cose che collettivamente abbiamo ereditato e per le quali dobbiamo lottare:

  • l’opportunità di vivere le nostre vite come vogliamo;
  • la certezza di leggi imparziali (Stato di Diritto) che rispondano e risarciscano se subiamo un torto;
  • la protezione dell’ambiente e dei nostri patrimoni condivisi (i “Global Commons”), che non possono esserci sottratti o distrutti ad arbitrio di interessi potenti;
  • una cultura aperta e indagatrice che ha formato le nostre scuole e le Università;
  • le procedure democratiche che ci permettono di eleggere i nostri rappresentanti e di adottare le nostre leggi;
  • queste e molte altre cose che ci sono familiari, e che prendiamo per scontate.

TUTTE QUESTE COSE SONO SOTTO ATTACCO!

Ammoniva il grande filosofo inglese nel gennaio 2014, pochi anni prima di lasciarci. E la risposta sulla quale egli insisteva ed è tornato, sino all’ultimo, ispirando un “Manifesto” dei Conservatori era nel Conservatorismo liberale.

A sette anni di distanza dall’Appello di Roger Scruton tutte le cose più vitali per il nostro “credo” nella libertà, nella dignità umana, nella solidarietà equa, nella democrazia condivisa, in una parola nello Stato di Diritto, tutte queste cose sono sotto attacco, e in misura sempre più minacciosa per mutazioni geopolitiche, economiche e ideologiche che rischiano rapidamente, di vederci soccombere se non ci scuotiamo, capiamo e reagiamo.

I quattro pilastri molto sinteticamente enunciati nella breve citazione che ho riportato, sono tutti e quattro minacciati, e tutti insieme – sia pure con diverse strategie – soprattutto dalla “superpotenza” oramai da anni antagonista e persino dichiaratamente nemica del sistema democratico liberale: la Cina, seconda economia del mondo, gigante scientifico e tecnologico, superpotenza militare e nucleare, protagonista da membro permanente del Consiglio dei Sicurezza alle Nazioni Unite di un sistema multilaterale che Pechino – come abbiamo visto all’OMS in tutto il corso della pandemia – vuole colonizzare interamente e rendere servile alle sue politiche.

  • Covid-19
  • Hong Kong;
  • Mar della Cina;
  • Tibet;
  • Xinjiang;
  • Birmania;
  • Venezuela; Via della Seta;
  • corsa allo spazio ai metadati, all’Artificial Intelligence;
  • violazione persistente degli Accordi di Parigi e ostacoli alla Coop-26;
  • persecuzioni degli Uiguri e dei Tibetani in politiche genocidiarie in Cina, e orrendi ricatti sui Governi stranieri per farsi consegnare gli oppositori politici;
  • ricatti a qualsiasi Paese voglia e debba conoscere per rispondere ai suoi cittadini come è scoppiata la pandemia;
  • riscrittura provocatoria della storia contemporanea;
  • imposizione dogmatica e obbligatoria del pensiero di Xi Jinping e delle tesi del PCC in politica internazionale.

Ecco in estrema sintesi l’identikit della Cina Comunista di oggi e del “Paese Amico” verso il quale un Partito sempre al Governo, nonostante le continue débâcles elettorali subite, vuole continuare a spingerci.

Tutto questo da quando, dal primo Governo Conte e via via con il Conte Bis, sino purtroppo al Governo Draghi, il M5S è diventato nella coalizione al Governo il socio di maggioranza sempre più influente nella definizione e attuazione della politica estera italiana.

Gli scostamenti che si sono prodotti e le fratture anche molto appariscenti che l’Italia a trazione M5S ha creato nella linea Atlantica ed Europea nei confronti di Pechino, sono state numerose, frequenti e segnano ormai una costante che preoccupa i nostri alleati e i principali partners europei.

L’influenza del Partito Comunista Cinese – tramite il M5S –  sulla politica, l’economia, la sicurezza dell’Italia è diventata così forte ed assertiva – grazie anche a quella “tempesta perfetta” che la pandemia ha presentato e continua ad essere per Xi Jinping – che persino nella stagione di Mario Draghi sono sempre più forti le accelerazioni verso – o per meglio dire “sotto” – la volontà  arrogante di Pechino, degli organi del PCC, e del suo Fronte Unito dei Lavoratori: l’immenso pachiderma di risorse e di specialisti nelle operazioni di influenza all’estero.

* Anziché far dimenticare, se non cestinare, l’assurdo MOU di inizio 2019, e l’adesione dell’Italia, prima in Europa, alla Via della Seta;

* anziché esercitare a tutto campo e in modo capillare i poteri del “Golden Power” per difendere dal saccheggio di aziende cinesi di ogni tipo il “Made in Italy” scientifico, tecnologico, imprenditoriale del nostro Paese;

* anziché allinearsi con chiarezza e determinazione a sostegno della democrazia a Hong Kong, della libertà e della sicurezza di Taiwan;

* anziché denunciare il genocidio in Xinjiang e in Tibet, come fanno i Governi e parlamenti dell’intero Occidente, il Governo italiano ha accettato di indossare la museruola che il socio di maggioranza impone.

E questo,

° nonostante le offensive menzogne propinate dalla disinformazione del PCC sui “finti aiuti” per il Covid-19, lautamente pagati -sembra- a dubbi intermediari;

° nonostante le illazioni volgari di Pechino sulla possibile origine del Covid-19 in Italia;

° gli insulti di essere “irresponsabili”, rivolti a parlamentari di tutti i gruppi – eccettuati i M5S – che si permettevano di parlare con Joshua Wong prima del suo vergognoso arresto;

° nonostante i duri risvegli e pentimenti – ormai inutili – di chi si è  buttato per questo sì irresponsabilmente – sulla Via della Seta svendendo porti come il Pireo, che ora i greci di ogni ambiente politico ed economico vorrebbero non aver mai ceduto alla Cina.

E invece Roma continua a inseguire Pechino sulla via della sottomissione, imposta dal Partito di maggioranza relativa.

Continuiamo a credere – certamente, a fingere di credere  che la Cina di Xi Jinping possa essere partner responsabile della Comunità internazionale:

per contrastare i cambiamenti climatici, i disastri ambientali, la devastazione delle risorse idriche e dei “Global Commons”, mentre è tutto il contrario – lo dimostrano gli impegni di carta velina annunciati all’ultima ora prima del G20 e della Coop 26, dove non si parla di “carbon neutrality” se non tra quarant’anni, quando il pianeta viaggerà oltre i +2°, i mari staranno cancellando metropoli costiere, e devastando intere popolazioni.

Ma cosa dice l’Italia di tutto questo?

Ce la prendiamo solo con Greta Tumberg, perché denuncia il “bla bla bla”, ma non per le menzogne seriali di Pechino, interessate esclusivamente a spostare la sua crescita nel breve e medio termine alimentata ancora per i prossimi decenni da volumi demenziali di carbone e di idrocarburi.

E per parlare di breve e medio termine, cioè di oggi e dei prossimi 2-5 anni, parliamo di Taiwan. Si tratta per la pace e la sicurezza internazionale della questione in assoluto più urgente e che tocca tutte le democrazie e le società liberali più da vicino.

Il Presidente Biden, il Segretario di Stato Blinken, i leaders repubblicani e democratici sottolineano, la crescente gravità delle provocazioni e della minaccia di Pechino a Taiwan, nel disprezzo dell’ormai sepolto principio – dopo la drammatica violazione di ogni impegno sottoscritto per la libertà e autonomia di Hong Kong – di “un paese, due sistemi”.

Xi Jinping dimostra di avere sempre più fretta; ogni ricorrenza politica o celebrativa interna è buona per agitare lo spettro di un’invasione imminente. Ma i tamburi di guerra il PCC non li suona solo contro Taiwan. Li suona contro l’intero Occidente, sempre più etichettando, gli amici degli USA, nella Nato e nell’UE allo stesso modo: avversari  da contrastare e, appena possibile, da dominare.

Le armi ipersoniche, la corsa sfrenata verso l’AI, l’accaparramento piratesco dei metadati, delle tecnologie cyber e dello spazio, delle conoscenze scientifiche, delle infrastrutture logistiche essenziali sono obiettivi oramai apertamente propagandati di dominio politico, economico e persino  ideologico (ad es. la stampa occidentale non deve mai offendere le sensibilità del PCC, pena durissima e ritorsioni!).

 Su questo quadro di fondo si deve leggere l’editoriale di Paolo Mieli di giovedì scorso, quando conclude:

“… al di là della propaganda o delle dispute storiografiche sulla
guerra di Corea, quel che conta è che nella regione si registra un crescendo di aggressività al quale l’Europa guarda, distratta, quasi si trattasse di una cosa lontana. Verrà poi il giorno in cui, come è accaduto per l’Afghanistan, i Paesi europei si lamenteranno per non essere stati adeguatamente informati di quel che stava accadendo tra il mare cinese orientale e quello meridionale. E, dopo la sorpresa, faranno a gara nel loro sport prediletto, quello di candidarsi a predisporre nelle proprie capitali il «tavolo della pace». Stavolta però si tratta di propositi troppo furbi ed eccessivamente ottimisti. Tutto quello che c’è da sapere sulla crisi di Taiwan è lì sotto gli occhi di tutti. Basta guardare. E se c’è un tempo per fare qualcosa di utile a salvare la pace (assieme al diritto dei taiwanesi di continuare a vivere in libertà) bene, quel momento è adesso.”

L’Europa, e specialmente l’Italia che in Europa sulla Cina è l’anello più debole, per i motivi già indicati (M5S), deve agire incisivamente a tutto campo.

Esprimendo una chiara linea di strategie politiche, economiche, e di sicurezza:

-rafforzando ed estendendo al Pacifico l’intero impianto della deterrenza atlantica;

-accorciando le “supply chains” a favore dell’Occidente e dei paesi asiatici più preoccupati dall’imperialismo cinese;

-sviluppando capacità adeguate di difesa e di risposta in tutto l’ampio spettro della quinta dimensione, il cyberspazio.

Ma attenzione, contenere la Cina significa anche non fare sconto alcuno alle sue pericolose pedine, soprattutto in America Latina e in Medio Oriente. In particolare a Venezuela e a Iran.

Oltre alla Cina e in parte la Russia, altri due Paesi – Venezuela e Iran -, pur nella disastrosa situazione economica nella quale sono stati portati dai due regimi che li governano, hanno trovato nella Cina e nella Russia due importanti alleati del regime Chavista di Maduro e del fondamentalismo sciita e jihadista della Repubblica Islamica dell’Iran. E significa liberarci una volta per tutte dal condizionamento ideologico e antioccidentale che il M5S rovescia sulla politica estera del nostro paese e sulla solidità della sua appartenenza europea e atlantica. La correzione di rotta deve certamente riguardare in primo luogo la Cina, il suo sempre più solido asse con la Russia nel tentativo di destabilizzare un “ordine internazionale” basato sulle libertà, sui valori dell’uomo e sullo Stato di Diritto. Tuttavia oltre alla Cina e in parte alla Russia, altri due paesi – Venezuela e Iran – hanno trovato in Pechino e Mosca due fondamentali alleati 

Per quali motivi?

Maduro e Khamenei si muovono da radici e verso obiettivi che, in superficie, potrebbero sembrare diversi ma che da tempo ormai si integrano il messianismo sciita, per l’Iran; l’ossessione antiamericana e antioccidentale, per il Venezuela.

Da almeno un decennio essi sono alla ricerca di maggiore influenza su spazi ritenuti vitali, in Medio Oriente e in America Latina. Pechino, Mosca, Teheran e Caracas sono unite dall’obbiettivo di escludere o per lo meno erodere la presenza degli Stati Uniti e dei suoi principali alleati da importanti regioni del Medio Oriente ( Siria, Iraq, Libano, Yemen, Golfo ), dei Caraibi e dell’America Latina. Regioni che sono terreno di collusioni, per Maduro e Khamenei, con narcotrafficanti, e con ogni tipo di criminalità contigua alle formazioni terroristiche come le FARC e Hezbollah.

Ebbene, la politica estera italiana a “trazione M5S” ha spostato nettamente il proprio baricentro, rispetto a quello atlantista ed europeo, sia per quanto riguarda il Venezuela, sia per il Venezuela e per l’Iran. Lo dimostrazioni fatti e posizioni politiche del M5S che non è superfluo ricordare:

* Maduro non poteva essere criticato e tantomeno sanzionato per le pesantissime violazioni dei diritti umani perché così facendo si sarebbe “interferito negli affari interni del Venezuela, Stato sovrano: esattamente la motivazione di Xi Jinpin ogni qual volta si denunciano le repressioni a Hong Kong o il Genocidio in Xinjiang;

* e ancora, la “rottura dei ranghi” in Europa, e in tutto l’Occidente, nel rifiuto a riconoscere Guaidò come Presidente ad interim, e a denunciare le “rielezioni rubate” di Maduro.

*  episodi, che diversi commentatori italiani e stranieri hanno collegato alle rivelazioni dall’ex capo dell’Intelligence Venezuelana Carvajal, sui finanziamenti a movimenti politici in Spagna e in Italia.

* analoghe inquietudini destano le posizioni espresse nei confronti dell’Iran: negli ultimi anni l’Italia non ha mai seriamente denunciato la propaganda antisemita e violentemente anti-israeliana, le costanti minacce all’esistenza di Israele, il sostegno pubblicamente vantato dall’Iran a Hezbollah, ad Hamas, a Jihad islamica, con fondi, risorse militari e comandanti dell’IRGC. *  l’Italia con il M5S al Governo non senza ipocrisia si dichiara amica di Israele ma non vuole neppure sentire neppure parlare del “black listing” di Hezbollah, e neppure vuol criticare Hamas che nella sua Carta Istitutiva  proclama la distruzione dello Stato Ebraico.

* e neppure vuole l’Italia, riconoscere l’esigenza che la risoluzione dell’UNGA sui diritti umani in Iran condanni il genocidio di 30.000 prigionieri politici,  avvenuto nel 1988 per ordine di Khamenei, e sotto la diligente guida dell’attuale Presidente Raisi.

* né l’Italia sembra preoccuparsi del filo rosso che lega sempre più Iran e Venezuela nei loro traffici criminali, di riciclaggi enormi di denaro, per e attraverso il narcotraffico, il contrabbando di grandi quantità di petrolio, e soprattutto la “collaborazione militare”, cioè terroristica, tra il regime di Maduro e quello di Khamenei.

Hezbollah è radicatissima in Venezuela. Tarek AlAssaimi, personalità siriana legatissima a Hezbollah, è stato Vicepresidente di Maduro, e poi Ministro del Petrolio. Altre figure del riciclaggio, e dello spionaggio internazionale, come Carvajal e Saab, recentemente arrestati e estradati negli Stati Uniti, hanno operato tra Caracas e Teheran spesso passando per Roma e Madrid.

Non abbiamo urgente bisogno di fare una pulizia seria anche nella politica estera?

E ora consentitemi di passare brevemente a un’altra questione per la quale il Partito di batte da tempo, senza che giustizia sia mai stata fatta, non tanto dai Tribunali, bensì -questa volta- dalle Amministrazioni dello Stato

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