Grazie Angiolo. Orazione funebre di Valter Vecellio in onore di Angiolo Bandinelli

            Quando mi è stato proposto di dire qualcosa a nome del Partito, mi sono chiesto: perché io? Quale merito, se non quello anagrafico, che ha comportato il privilegio, la fortuna di conoscere Angiolo per una cinquantina d’anni, e non per una settimana, un mese, un anno? Chi sono io per parlarne, per addentrarmi nelle sue allegrie e nelle sue malinconie, nei suoi entusiasmi, gli ideali perseguiti con pragmatico realismo e la sua capacità di sognare, prefigurare quello che può essere; e se può, “deve” essere…

            Ho pensato in queste ore come “raccontare” Angiolo Bandinelli, a una compagna, un compagno che bussa all’uscio del Partito Radicale, e chieda: chi è? Chi è stato?

            Alla fine, penso che risponderei: con il Partito. Per il Partito. Nel Partito. Il Partito Radicale. Può sembrare una specie di dogma stalinista. No, davvero.

            Il Partito Radicale: che aveva contribuito a fondare, e poi lo ha nutrito, ha amato con fierezza e umiltà, orgoglio e passione, per tutta la vita. Un matrimonio, mi verrebbe da dire, non temessi di essere blasfemo: nel bene e nel male, nella buona e nella cattiva sorte. Lo ha onorato con la sua presenza e militanza, la sua intelligenza, la sua passione, i furori, i sorrisi, gli scherzi, il suo fare giocoso. Il suo essere e il suo fare.

            Quel Partito Radicale che lo ha fatto arrabbiare mille volte, e gli ha regalato giorni di fatica, soddisfazioni, momenti di felicità. Radicale come aggettivo e soprattutto come sostantivo; e poi aggiungerei: radicale con Marco Pannella, per Marco Pannella.

            A Marco voleva bene; e a suo modo, anche se non gli ha risparmiato qualche dispiacere, anche Marco gliene voleva: riconosceva in Angiolo una persona capace di comprenderlo: sapeva interpretare un’espressione del viso, il tono di una frase; ne indovinava tattica e strategia; intuiva che quelle che sembrano stravaganze e mattane erano in realtà proposte politiche ardite, ambiziose, giuste e doverose. Aveva l’intelligenza delle cose, la teoria di una prassi, senza scadere nell’astrattezza.

            Capiva e aiutava a capire: il diritto di tutti noi alla certezza del diritto; il diritto alla conoscenza; la difesa delle istituzioni repubblicane; perché la salute delle istituzioni garantisce la salute della democrazia; sono due elementi inscindibili; la nonviolenza che non è sterile e vano pacifismo, non un principio: piuttosto un valore.

            Quanto ci manca oggi Pannella, quanto prezioso sarebbe stato, oggi, il dire, il fare, il pensare di Marco; quanto prezioso il dire, il fare, il pensare di Angiolo; e quanto ci mancherà il conforto del loro consiglio, il contributo della loro critica. Con il Partito. Per il Partito. Nel Partito: il Partito Radicale.

            Quel Partito che un tempo si diceva composto da “cornuti” e da “froci”, da “vacche ignude”, come ebbe l’amabilità di “poetare” in un suo sonetto greve Maurizio Ferrara, che concludeva: “sti stronzi”.

            Era il partito di Bandinelli; come era il partito di Bandinelli quello che anni fa si è riunito, unico non in Italia, ma nel mondo intero, per un suo congresso politico, in un carcere, quello romano di Rebibbia: per i detenuti, con e tra i detenuti. Un evento di portata storica che non si stancava di spiegarci per la sua dirompente portata e il significato rivoluzionante di quell’iniziativa; e che tanti, faticano a comprendere ancora oggi.

            Quel partito, per dirla con Allen Ginsberg, uno dei poeti della “Beat Generation” che Angiolo ben conosceva e amava, che “ha tolto le serrature dalle sue porte, che ha tolto le porte dai cardini”             

            Un pomeriggio, durante una pausa di un congresso radicale a Chianciano, accade una di quelle cose che poi ricordi con un filo di malinconia e ti segna. Qualcuno parla dal palco, ma quel momento senti di dover prendere una boccata d’aria fresca, ed esci addentrandoti in una delle strade vicine. E a fianco del salone congressuale c’era una rivendita di libri usati, e ti trovi Angiolo Bandinelli che cerca anche lui qualche cosa da acquistare con pochi soldi.

            “Victor Hugo”, dice con una punta di soddisfazione. Ha trovato un volumetto, di cui poi mi fa dono, “Contro i tagli alla cultura”. Nel 1848 e nel 1849 questo grande, straordinario scrittore francese prende la parola due volte all’Assemblea costituente, per dichiarare la propria opposizione ai tentativi del governo di ridurre le spese per la cultura. Queste cose le imparo perché lui, Angiolo, me le racconta. Sono due discorsi molto incisivi, nei quali Hugo sostiene l’importanza e il valore delle lettere e delle arti per il progresso del paese; ridurre gli investimenti per la cultura significa compromettere il prestigio della nazione e impedire la crescita civile della popolazione, minare le basi stesse dell’organizzazione sociale.

            Mi allunga quel libretto, e sospira: sono parole di centocinquant’anni fa, ma le si potrebbero ripetere anche oggi tali e quali. Il primo di molti altri libri che mi ha regalato

            Per Hugo, Angiolo nutriva un vero amore; anche per altri artisti e poeti, Eliot, Baudelaire, gli piacevano alcuni poeti della beat generation come Gregory Corso; ma Hugo era tra i preferiti; e mi raccontava che amava raccogliere le edizioni di questo scrittore fin da quanto, in anni lontani, ne aveva trovato degli esemplari, nelle bancarelle sul lungo Senna.

            Hugo è scrittore prolifico, fluviale; Angiolo amava in particolare “Le contemplazioni”, un complesso di 158 poesie disseminate in sei volumi. Per una rivista che forse esce ancora, “Poesia” di Nicola Crocetti, ha pubblicato sue traduzioni di queste poesie. Perché Bandinelli, oltre a essere il militante, il dirigente radicale che sappiamo, coltivava con discrezione e una sorta di pudore, la poesia e poesie traduceva, dal francese e dall’inglese.

            Dopo quella volta, ci sono state altre occasioni per parlare di Hugo con Bandinelli. Mi incuriosiva molto questo suo amore, e il perché lo considerava una sorta di collegamento con i radicali che siamo; perché Hugo e non Zola, per esempio; perché non parlava di Dickens molto apprezzato da Marco Pannella.

            “Le contemplazioni” sono una raccolta di ricordi, d’amore, di gioia ma anche di morte, di lutto e di misticismo. Ruotano sul ricordo, la memoria; il tema della nostalgia; sono, soprattutto, un omaggio alla figlia Léopoldine, morta annegata. Credo che questo voglia dire qualcosa.

Attraverso i versi Hugo racconta l’evolversi del lutto. Annota, nella prefazione: “Sono un essere umano”. La poesia è una chiamata a sentimenti universali. Rifiuta la morte, e si interroga sul senso della morte della figlia. L’Angiolo amante di Hugo, credo si armonizzi perfettamente con l’Angiolo politico, l’Angiolo poeta e scrittore, l’Angiolo polemista e saggista. L’Angiolo che scrive su riviste prestigiose, come “Il Mondo” di Mario Pannunzio, ma anche “L’Astrolabio” di Ernesto Rossi, Ferruccio Parri e Mario Signorino; il “Nord e Sud”; “Il Ponte” di Piero Calamandrei; e su una quantità di altri giornali e periodici; ma al tempo stesso non disdegnava di porre la sua firma sui tanti giornaletti e fogli radicali e di area, “Agenzia Radicale”, “Notizie Radicali”, “La Prova Radicale”, “Liberazione” sono per citarne alcuni.

            La produzione pubblicistica di Angiolo è sterminata, e vien da chiedersi dove mai trovasse il tempo per fare tante cose contemporaneamente: perché lui non viveva in una torre d’avorio, uno stilita. Era ben immerso nelle cose del mondo: frequentava le mostre degli artisti, e ne scriveva con sapienza; ogni giorno l’attenta rassegna dei quotidiani, cogliendone puntualmente il succo, quello che pubblicavano e anche quello che sceglievano di ignorare; i libri giusti, e non solo quelli segnalate dalle classifiche pilotate dagli editori; il gusto della conversazione, la disponibilità all’ascolto e alla confidenza; e mille altri interessi e passioni. Una bibliografia che spazia: racconti, poesie, saggistica; tra i tanti, ne cito tre: due perché significativi, per il terzo, anche per un po’ di orgoglio.

            I primi due sulla crisi della politica laica; l’altro sul federalismo; libri del 1993. Significativa preveggenza. Il terzo volume, l’abbiamo fatto insieme: “Una inutile strage? Da via Rasella alle Fosse Ardeatine“; si partì da due “scandalosi” interventi di Marco Pannella a un congresso radicale a Roma: Marco ricordando quell’attentato, la rappresaglia che ne seguì in sostanza disse una cosa tutto sommato elementare: che anche in guerra, quando pietà l’è morta, tutto si può e si deve giustificare; e che innegabile risultava il rapporto di emulazione che legava episodi come quello di via Rasella con gli attentati dei terroristi di sinistra degli anni ’70 e ’80. I comunisti la presero malissimo, Pannella venne denunciato per vilipendio alla Resistenza; con Angiolo riuscimmo a creare le condizioni per un bel dibattito e confronto, a cui parteciparono Norberto Bobbio, Gianni Baget Bozzo, Salvatore Sechi e tanti altri che ora non ricordo; e ne facemmo un libro che ancora ora ha una sua validità; perché sono tematiche su cui ancora occorre riflettere e confrontarsi. Ancora oggi non tutti credo abbiano capito portata e ragioni di quella polemica che va al di là della contingenza di quell’attentato. E teniamo presente che Bandinelli è stato partigiano, e decorato per questo.      

            Vi chiedo scusa per questo disordinato affastellare di ricordi. Emergono un po’ alla volta, frammenti di un’amicizia importante, e che tanto mi ha dato. Quella volta che con i compagni di Bologna, io allora frequentavo quell’università, lo accompagnammo alla stazione e gli demmo il biglietto di prima classe e cuccetta: e lui ci guardò con gli occhi sgranati, incredulo, sorpreso: aveva preventivato uno scomodo ritorno a Roma in seconda classe, era la prima volta che gli veniva rimborsata la trasferta; la volta che ci avventurammo in un paese della Sila, Rogliano, dove un comune amico animava un circolo culturale e una rivista semestrale di poesia e letteratura: “Il Filo rosso”, e la notte nevicò bloccandoci per tutto il giorno successivo, trascorso con un’altra decina di ospiti nel salone dell’albergo, davanti al caminetto a parlare di tutto e di niente, di un suo lungo soggiorno nella Mosca sovietica; la Scozia della moglie, le meraviglie di Liverpool, il freddo della Scandinavia così simile a quello di quel giorno e mille altre storie, fino a quando vennero a liberarci; quella volta che con la complicità della moglie, l’amatissima Heda, avevo raccolto una cinquantina di articoli che era andato pubblicando su alcuni giornali, e realizzato una plaquette di un centinaio di copie, “Opinioni per un anno”, e il giorno del suo compleanno gli facemmo trovare una sorta di piramide composta con quei volumetti, una lacrima riuscimmo a fargliela spuntare, anche se tentò di occultare la sua commozione con una sequela di “andate a quel paese”. Dovremmo cercare di farne altre, di quelle raccolte; però non sarà facile: hai scritto tanto, e in tanti giornali e riviste…

            Angiolo non è stato solo un buon radicale; è stato soprattutto un radicale buono: rispettoso, attento, sensibile, partecipe, capita e sapeva quando era necessaria una carezza, e quando invece era il caso di dare una terapeutica strigliata. E’ stato parte attiva di quell’Italia che ci ha regalato un po’ di aria fresca e pulita, insofferente com’è sempre stato verso qualsiasi tentazione illiberale; tra i protagonisti di una stagione ricca di fermenti politici e morali che solo in parte sono riusciti a cambiare l’Italia. Per tutta la vita Angiolo è stato fedele a quei valori che aveva assimilato da Mario Pannunzio, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Marco Pannella; valori che erano diventati una sua seconda pelle.

            Bisogna fare un “salto” nel tempo. I radicali di Pannunzio, Rossi, Arrigo Benedetti, dopo infelici avventure elettorali, gettano la spugna: chi guarda i repubblicani, chi i socialisti…Un pugno di “giovani” non si arrende, decide di tener vivo il Partito Radicale: con Pannella e pochi altri (i fratelli Aloisio e Giuliano Rendi, Gianfranco Spadaccia, Sergio Stanzani, Mauro Mellini, Massimo Teodori), c’è anche lui, Angiolo. A questa pattuglia dobbiamo uno dei più bei testi che siano stati scritti, verrà pure il giorno che una facoltà di Scienze Politiche si deciderà a studiarlo a fondo: lo Statuto del Partito Radicale, elaborato a metà degli anni ’60 a Faenza, e poi a Bologna: congresso a data fissa e non quando lo decide il segretario; possibilità a chiunque (chiunque!) di potersi iscrivere unico requisito il pagamento della quota associativa; nessuna possibilità di espulsione, non esistono neppure i probiviri; possibilità (auspicata) di iscritti con doppia tessera; per ogni iscritto, non importa con quanti anni di iscrizione alle spalle, il diritto di partecipare al congresso, parlare, votare, presentare documenti.

            Un sogno? Un’utopia? Forse sì. Ma è con questo sogno e questa utopia che il Partito Radicale è diventato anno dopo anno il più antico partito sulla scena politica. E poi, sempre con Pannella, l’intuizione del Partito Radicale Transnazionale Transpartito Nonviolento.

            Angiolo è stato anche deputato, e consigliere comunale a Roma. Ha sempre onorato le istituzioni in modo impeccabile, convinto, da autentico liberale e libertario, di trovarsi a far parte del “tempio della libertà e della democrazia”, anche se con amarezza a volte aggiungeva: che dovrebbe essere il “tempio”, e invece non lo è.

            Con Pannella ha condiviso un “vissuto” che gli consentiva di “capirlo” e interpretarlo anche solo con un’occhiata, un’inflessione di voce, un silenzio; e senza, per questo essere mai perdere un’oncia della sua autonomia di pensiero. Anzi: il consiglio della sua critica, a Marco erano preziose; quante volte, nelle riunioni di partito, è capitato di assistere a furibonde polemiche che facevano presagire storiche e irreparabili rotture… Poi l’abbiamo capito: era “semplicemente” passione che coltivavano entrambi, e che li ha uniti sempre e fino alla fine. Poche persone sono state leali con Pannella come Angiolo: che tanto ha dato, e certamente non ha ricevuto, in termini di pubblico riconoscimento, quanto avrebbe meritato (l’affetto, la considerazione, la ri/conoscenza no: quelle non sono mai venute meno). Radicale sempre: da quella lontana notte quando incontra Marco Pannella a piazza di Spagna, e ne rimane intrigato; fino a ieri, giorno dopo giorno, anno dopo anno, instancabile e certo: senza mai rinunciare a dire e fare quello che riteneva giusto dire e fare. Ma, come ho detto, come ripeto: nel Partito, col Partito, per il Partito.

            Chi scrive ha conosciuto Bandinelli in anni ormai lontani, quelli esaltanti perché anche in Italia ci fosse una legge che consentisse di divorziare: quegli anni Settanta che non sono stati solo gli anni di piombo e del terrorismo, ma anche, soprattutto, una grande stagione di civiltà e progresso: statuto dei lavoratori, riforma sanitaria, legge sull’aborto, obiezione di coscienza, voto ai diciottenni, nuovo diritto di famiglia, abolizione del regime manicomiale…E’ tempo di rivendicare questo straordinario patrimonio politico, culturale, ideale, etico.

Sorridente di quel sorriso lieto e sornione di chi ne ha viste tante e tante superate, nei momenti che contano, quelli che ti restano e segnano, non mancava mai; sapeva trovare la parola, il tono giusti per rincuorarti e darti nuova energia quand’eri stanco e avvilito. Nel Pantheon delle persone che hanno onorato questo paese e a cui dobbiamo qualcosa, uno dei posti d’onore è per lui.

            Noi radicali, se siamo quello che siamo, se abbiamo potuto e saputo fare quello che abbiamo fatto, lo dobbiamo anche a te, a persone come te. Ne abbiamo parlato tante volte: il mio scetticismo di fronte alle teorie della capitiniana compresenza dei vivi e dei morti. Eppure sarebbe bello che da qualche parte vi ritrovate: tu, Marco, Adele, Laura, Liliana, Andrea, Franco, Mario, Mauro, Sergio, Silvio, e anche gli altri: Arrigo Benedetti, Piero Calamandrei, Guido Calogero, Nicola Chiaromonte, Luca Coscioni, Ennio Flaiano, Loris Fortuna, Ernesto Rossi, Gaetano Salvemini, Leonardo Sciascia, Ignazio Silone, Altiero Spinelli, Enzo Tortora, Bruno Zevi… i nostri laici Lari e Penati, tutte le tante belle, buone persone grazie alle quali noi siamo qui: ostinati anche noi, come sei stato tu, nel cercare di dare corpo e voce a quell’antico motto: “Fai quel che devi, accada quel che può”. Perché alla fine, quello che conta per davvero è “Non mollare!”.

Grazie Angiolo.

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