In carcere ci si suicida 16 volte più che fuori. Tante le variabili del disagio e della sofferenza che hanno determinato un aumento del numero dei suicidi. Uno staff per intercettare i segnali del malessere.
In Italia il numero dei suicidi in carcere è 16 volte superiore a quello che si registra fuori. E a togliersi la vita, sono soprattutto i giovani tra i 20 e 30 anni, nel 2022 sono già 68 – secondo l’osservatorio permanente di Antigone – le persone che hanno preferito la morte alla vita dietro le sbarre: un numero vicino al triste record di 69 morti del 2001. A lanciare l’allarme dopo l’ennesimo suicidio di una donna di 36 anni nel carcere romano di Rebibbia avvenuto il 2 agosto scorso era stato Stefano Anastasia garante dei detenuti nel Lazio e in Umbria. Anastasia, fondatore ed ex presidente dell’associazione Antigone, aveva evidenziato i fattori che contribuiscono ad aumentare la sofferenza implicita nella privazione della libertà. Ad esempio anche il caldo di questa torrida estate, la riduzione delle attività, i diminuiti contatti con l’esterno.
Le variabili della sofferenza in cella
E su tutto la sofferenza personale. Variabili che possono essere affrontate con dei piani di prevenzione. Per contrastare il dramma dei suicidi in carcere il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha annunciato ieri la messa a punto di nuove linee guida che puntano a rafforzare il carattere permanente delle attività di prevenzione. «Un “intervento continuo”, attraverso il quale – si legge nella circolare – il Dipartimento, i Provveditorati regionali e gli Istituti penitenziari siano tutti coinvolti, in una prospettiva di rete, per la prevenzione delle condotte suicidarie delle persone detenute». La circolare, firmata dal capo Dap Carlo Renoldi, è stata trasmessa ai Provveditori e ai direttori degli istituti. L’obiettivo è quello di rinnovare, anche con il coinvolgimento delle Autorità sanitarie locali, gli strumenti di intervento e le modalità per prevenire un fenomeno tragico che in questi mesi sta facendo registrare un sensibile incremento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Intercettare il disagio
Ogni istituto dovrà verificare che lo stato dei Piani regionali e locali di prevenzione sia in linea con il «Piano nazionale per la prevenzione delle condotte suicidarie nel sistema penitenziario per adulti». Prevista poi una task force multidisciplinari – composta da direttore, comandante, educatore, medico e psicologo – con il compito di monitorare e valutare le situazioni a rischio. Lo scopo del lavoro di equipe è quello di individuare protocolli operativi utili a far emergere gli “eventi sentinella”. All’attenzione dello staff ci saranno i fatti o delle specifiche circostanze, che possono essere la spia di un marcato disagio delle persone detenute. Segnali che «possono essere intercettati dai componenti dell’Ufficio matricola, dai funzionari giuridico-pedagogici, dal personale di Polizia Penitenziaria operante nei reparti detentivi, dagli assistenti volontari, dagli insegnanti» ed essere rivelatori del rischio di un successivo possibile gesto estremo. Nella circolare, il Capo del Dap invita i provveditori a garantire una particolare attenzione alla formazione specifica del personale, attraverso cicli di incontri a livello centrale e locale, destinati a tutti gli attori del processo di presa in carico dei detenuti.
Il Sole 24 ore – 8 agosto 2022. Di Patrizia Maciocchi